Diverse leggende riconducono il toponimo di Kanazawa all’acqua del fiume in cui un contadino lavò le sue patate o, in alternativa, al suo celebre giardino, il Kenrokuen.
Noi, per non saper né leggere e né scrivere, siamo andati prima al mercato per verificare se ci fossero ortaggi, tuberi o frutta d’oro, poi al giardino.
Passeggiando per il mercato di Omicho una cosa è parsa subito chiara: una pesca, anche se non é ricoperta d’oro, può costare più di un piatto di pesce.
Passeggiando per il Kenrokuen, senza neanche sforzarci tanto abbiamo rintracciato ovunque i 6 attributi fondamentali che ne fanno un giardino perfetto: spaziosità, tranquillità, cura, giusto “invecchiamento”, panorami e corsi d’acqua. E poi lanterne, muschi, pontini, laghi pieni di carpe giganti, pini i cui rami sono sostenuti da pali e canne di bambù.
Il pomeriggio temendo il temporale ci siamo rifugiati al Museo di Arte Contemporanea e in serata un giro nel vecchio quartiere delle Geishe, per vedere com’era il Giappone prima che arrivassero il cemento e le insegne a neon.
La sera siamo finiti in un piccolo ristorante in cui abbiamo mangiato il miglior sushi della nostra vita; non c’erano barche su cui adagiarlo, ma il solo bancone, non c’era cura nella presentazione ma solo attenzione a sapori unici e totalizzanti.
Il giorno dopo, prima che un lentissimo thunderbird ci porti a Kyoto, andiamo a dare uno sguardo al quartiere dei samurai, vicino alle vecchie mura della città, fatto di piccole case in legno con le porte scorrevoli e circondate da affascinanti giardini. Tra tutte è visitabile quella della famiglia Nomura.
Wow il sushi schiaffato lì… bello!
Anche in tema sushi vale la regola che il posto senza fronzoli spakka!!!