Nikko is Nippon

A Tokyo è prevista pioggia, quindi tanto vale andare a Nikko dove, almeno pare, è solo nuvoloso. La strada è abbastanza lunga (un paio d’ore dalla stazione di Tokyo) e così, anche stamani alzataccia. E comunque alle 7.00, mentre a Shinjuku le insegne luminose sono spente e l’immondizia è ancora su marciapiedi e zone pedonali, il ventre della metropoli è già in piena attività. Treni locali e metropolitani, scale mobili e sottopassaggi letteralmente vomitano migliaia di salary men che si muovono in fretta e a testa china verso le loro destinazioni. L’abitudine dei giapponesi a vivere ammassati l’uno sull’altro sin da piccoli, in case sprovviste di porte e finestre, li ha addestrati a non percepire come alienanti situazioni che porterebbero alla nevrosi la maggior parte degli occidentali. La gregarietà e la tendenza a sentirsi parte di un gruppo tipici di questo popolo fa sembrare quasi che ogni singolo individuo si senta e si comporti da piccolo ingranaggio in una macchina con migliaia di ruote. Si dice che sia questo forte sentimento utilitaristico, l’assoluto collettivismo, l’annientamento quasi totale dell’individualità in favore dello spirito di gruppo ciò che assicura la coesione nazionale, che rende formidabile la società giapponese, che garantisce un’armonia pressoché completa tra tradizione e modernità.

Ma Nikko is Nippon nella sua accezione più tradizionale, è meglio per ora tralasciare tutto ciò è godersi un confortevole viaggio verso la città degli shogun Tokugawa.

Nikko è splendida, così come la ricordavamo. Qui lo stile giapponese, solitamente essenziale e in perfetta fusione con il paesaggio circostante, sprigiona esuberanti colori ed è esaltato dall’uso dell’oro e dalle minuziose decorazioni. Innumerevoli sono i dettagli: le bocche di draghi, gli elefantini grotteschi, i coloratissimi pavoni e le sagge scimmiette, simbolo tradizionale della cultura di questo Paese: Mizaru (non vedo il male), Kikazaru (non ascolto il male) e Iwazaru (non parlo del male). C’è anche un cavallo vero, bianco e sacro.

Tra le molteplici bestie immaginifiche che comunque popolano Nikko, nelle sale sacre con pavimenti laccati di rosso, c’è perfino Kirin, meglio conosciuto come l’animale dell’etichetta della birra omonima, simbolo della felicità, appare quando c’è un buon governo; ha il corpo di cervo, gli zoccoli divisi in due parti, la coda di una mucca e la testa di un lupo con un corno. Ce ne sono solo 49 in tutta Nikko, non è facilissimo individuarli nel variopinto zoo che popola le pareti di templi e pagode, ma uno l’abbiamo scovato.

E parlando di bestiole, che dire di un gruppetto di ragazzini che sembrano uscire dalla versione nipponica di “Stranger things” tutti esaltati per aver catturato uno splendido esemplare di scarabeo?

Centinaia di gradini attraversano una foresta di splendidi cipressi giapponesi conducono al mausoleo di Tokugawa Ieyasu, e un’enorme urna di bronzo contiene i resti del generale dittatore.

Il tempo volge al brutto, dopo una pausa caffè decidiamo di rinunciare alle cascate e prima di tornare in stazione ci fermiamo a fotografare un’altra icona del Giappone, il ponte rosso di Shinkyo, la cui raffinatezza contrasta con la natura selvaggia della gola. In epoca feudale solo l’imperatore aveva il diritto di attraversarlo, oggi basta pagare ¥ 300.Piccola nota a margine: da Tokyo per Nikko, se si prende lo shinkansen si deve fare cambio a Utsunomiya, la capitale dei gyoza. Non ci siamo affacciati fuori la stazione della JR, presi dall’acquisto di calzini a tema ravioli, e di onighiri per la pausa pranzo, perché altrimenti saremmo rimasti colpiti dall’incredibile statua in pietra che ricorda il motivo per cui questa città è universalmente nota.

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