Oltre i giardini ancora shopping

In Giappone, d’estate, le microseghe elettriche delle cicale funzionano da spie rivelatrici di aiuole e giardini nascosti. Anche a Shinjuku, uno dei quartieri più caotici sia di giorno che di notte, c’è il Gyoen National Garden, un piccolo parco tra i grattacieli, segnalatoci da migliaia di questi insetti punk-urlatori.

Il cielo è di un azzurro intenso, il verde è brillante, il posto è incantevole e fotogenico, la quiete del giardino giapponese è confortante. Non è un caso che qui siano state ambientate le scene di 2 recenti anime: “Your name” e “Il giardino delle parole”, di cui ci siamo divertiti a replicare alcune inquadrature.
Il pomeriggio è la volta del parco di Yoyogi, del santuario shintoista, dedicato agli imperatori Meiji, in cui ci imbattiamo in un altro paio di matrimoni tradizionali, e poi nei suoi artisti di strada, tra cui i coreografici ballerini di rockabilly.
Relegati su questo arcipelago dell’estremo Oriente, non sanno neanche che è tornato di gran moda e che esistono festival coloratissimi in tutto il mondo, perfino in Italia, che attraggono migliaia di persone.
A pochi passi c’è Takeshita-dori, una piccola stradina che scende verso Omotesando, affollatissima di ragazzine che comprano completini intimi con il pelo d’orsetto di peluche, improbabili scarpe, colorate e scomodissime, prodotti per l’igiene personale, puzzazzi di ogni foggia e migliaia di futili oggetti a 100¥.
Mangiano crepes bellissime, ma dalla consistenza della plastica, e lo zucchero filato con i guanti di lattice, perché all’ossessione per la pulizia non rinunciano mai.

È semplicemente pazzesco. Non esiste altro posto al mondo in cui l’idea fissa per le marche, per i vestiti, i gadgets, raggiunga livelli così alti.

Nulla di cui sorprendersi, in fondo. I giapponesi, shintoisti per nascita, restano animisti per tutta la vita, per sempre devoti agli oggetti. È questo il motivo per cui il consumismo ha assunto qui caratteristiche così estreme, poiché è una forma di religione. È un consumismo applicato con la coerenza che solo un credo religioso può giustificare, un consumismo senza più alcun senso di colpa. Non abbiamo mai visto nulla di paragonabile in nessun’altra parte del mondo. È una cosa che ci diverte e allo stesso tempo ci lascia atterriti.

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