La metropoli di giorno appare come una macchina sgraziata con corpi di cemento armato e lamiera, rotaie, grovigli di fili elettrici sospesi tra i pali della corrente, brutalmente utilitaristica, immensa e grigia. In effetti gli ideali giapponesi di bellezza sono profondamente intrecciati con il culto della natura, e la città è anti-natura quindi incompatibile con la bellezza.
Ma la sera si trasforma in pura magia, suscita stupore e meraviglia.
Alle 6 i tramonti su Tokyo si tingono di un azzurro intenso, per un istante, il tempo che l’ultimo raggio scompaia dietro i grattacieli e la metropoli si colori, come se fosse giorno, delle luci a neon delle sue insegne.
La vista dal 50° piano del Rappongi Hills che consente di vedere lo sterminato, sconfinato spazio che occupa la città e una simil-Torre Eiffel bianca e rossa.
La strettissima Piss Alley, dove si trovano gli yakitori-bar e le molteplici izakaya, tutte corredate di mama-san. Nonostante i locali siano minuscoli e sia tanto il cibo che qui viene cucinato sulle piastre tutto è inspiegabilmente inodore, come questa città, in cui non si sente mai la puzza dell’asfalto, né quella dei rifiuti o dello smog.
Il luminosissimo ingresso a Kabukicho, nel quartiere di Shinjuku. Le onnipresente macchinette per le bibite e i più tradizionali lampioncini di carta.
E poi ancora a Shinjuku i palazzi di uffici e ristoranti ricoperti di enormi insegne e l’ombra di Godzilla.
La monorotaia che porta a Odayba offre squarci incredibilmente cinematograci, sembra di essere sul set di Blade Runner, un Blade Runner di sole luci, cemento e vetri immacolati, senza i fumi, la pioggia e il sudiciume degli esseri umani che rendono il film così angosciante. E poi finalmente il mare, perché Tokyo, anche se non sembra e mai se ne sente l’odore, è una città di mare, e poi oltre l’immensa baia, dall’isola artificiale, luminescenti panorami che racchiudono in un spazio ancor più piccolo di un grandangolo tutto: la megalopoli, un ponte simil-Brooklin è una simil-statua della libertà.
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