In un rifugio sotto una scuola elementare

Stamattina abbiamo avuto la possibilità di immergerci in una storia, riguardo la nostra città d’adozione, ormai abbastanza lontana nel tempo, ma che non deve essere dimenticata. Milano durante la seconda guerra mondiale era considerata, per la sua importanza industriale, uno dei bersagli principali e proprio per questo fu oggetto di sessanta bombardamenti che uccisero tra i 1.200 e i 2.000 nostri concittadini e che rasero al suolo un terzo delle sue costruzioni.

La popolazione, terrorizzata, aveva la possibilità di rifugiarsi in uno dei 135 “ricoveri” (il termine rifugio era considerato troppo sinistro) sparsi per la città, ed è proprio uno di questi, il numero 87  per la precisione, che abbiamo visitato.

In viale Boido 22, negli scantinati della scuola elementare Giacomo Leopardi, era stato allestito, a partire dal 1940 un ricovero nel quale avrebbero dovuto trovare rifugio i circa 1.000 bambini dell’istituto nonché altre 500 persone di un quartiere all’epoca ancor più periferico e proletario di quanto non sia oggi.

La sensazione che si prova è estraniante. Aiutati anche dalle spiegazioni del volontario che ci accompagna ci rendiamo conto di quanto inadeguate fossero le misure di sicurezza adottate: dai rinforzi in legno improvvisati alle misure di prevenzione – dei panni umidi contro le finestre – in caso di attacco con agenti chimici. E dire che, nel contesto della Milano di quegli anni, veniva considerato uno dei più accoglienti (aveva dei bagni e delle cucine) della città.

E’ veramente impressionante immaginare questi bambini abbandonare le loro aule, inforcare le maschere antigas e scendere di appena un piano per trovare rifugio in questo luogo. Queste vicende sono, peraltro, raccontate nel libro di Ermanno Olmi Ragazzo della Bovisa, ambientato in parte proprio al rifugio 87, che ci ripromettiamo di leggere.

In questo contesto, l’ultimo pensiero va ai 184 bambini deceduti durante il bombardamento della scuola elementare di via Gorla del 20 Ottobre 1944, come pure ai tanti che, ancora oggi, anziché avere la possibilità di dedicarsi al gioco e allo studio devono preoccuparsi di sfuggire alle, insensate, bombe lanciate da un aereo che vola sulle loro teste.

Purtroppo abbiamo con noi solo i nostri cellulari, ma l’occasione richiede comunque di scattare qualche foto per ricordarci in futuro di questa esperienza e contribuire a mantenere viva la memoria di questo luogo.

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