Andare a Dresda non è solo un’inversione di rotta, verso nord, ma significa anche varcare un vecchio confine di stato, quello della ex-DDR, segnalato dai cartelli e dalle torrette di avvistamento lasciate integre, lì a rimarcare il fatto che non c’è paese al mondo in cui il passato abbia un peso maggiore, ma anche nessun altro che con il proprio passato abbia dialogato e dialoghi tutt’oggi così duramente, senza rimozioni o indulgenze.
Nonostante qualche difficoltà nel trovare il posto giusto in cui lasciare l’auto alla stazione di Dresda, siamo comunque riusciti a salire sul nostro Eurocity diretto a Praga e in poco più di 2 ore raggiungere la capitale boema. È la nostra seconda visita alla città.
Sono le 15.30, fa caldissimo e le strade sono straboccanti di turisti. Unica certezza: dopo aver lasciato i bagagli, sosta al Café Louvre, il posto in cui Kafka amava pranzare con l’amico Max Brod, il bar frequentato anche da Einstein, tra il 1911 e il 1912, quando era professore all’università di Praga.
Rifocillati da un gelato e da una fetta di Sacher (il cui gusto è assolutamente trascurabile) cominciamo il nostro giro senza alcuna meta, senza uno scopo preciso, lungo la Moldava, attratti dai pedalò che partono dall’isola di Kampa, e dagli splendidi riflessi del sole sul fiume al tramonto.
Impossibile non finire sul Ponte Carlo, risucchiati dal flusso ininterrotto di persone che lo attraversano.
Nel grande sistema di coordinate, fatto di corsi d’acqua, che tiene insieme la Boemia, […] la Moldava rappresenta l’epico fiume del destino […].
Alle soglie della capitale, sotto la fortezza di Vyšehrad, essa si allarga possente, raduna sulle proprie rive le cento torri della città e rispecchia le ancestrali promesse di una mitica fama siderale.
I ponti della città raccordano le due ripe non semplicemente per unire, ma come se volessero ritardare un ulteriore reciproco allontanarsi delle sponde e assicurare alla corrente la sua profondità.
J. Urzidil – Trittico praghese
È un attimo e concordiamo sul fatto che l’indomani mattina ci alzeremo presto, al sorgere del sole, per provare a fare la foto che abbiamo sempre voluto: l’iconico ingresso al ponte senza frotte di turisti.
Alle 5.30 è già ora di uscire, molte persone sono già per strada, c’è tanta luce. Anche sul ponte l’umanità più varia.
Cinesi con cavalletto, cinesi che fanno running e contemporaneamente scattano dei selfie, che scracchiano e sputano mentre fanno stretching, contorsioniste inglesi non proprio al top della forma, giovani spose agghindate per il book fotografico, e modelle in splendidi abiti che contrastano con il nero delle pietre del ponte, vecchie di oltre 6 secoli.
Alle 7.00 decidiamo di rientrare in hotel per riposare, fare una doccia, mangiare qualcosa ed essere pronti per le 10.30, ché parte un tour sul comunismo e i rifugi nucleari.
I fatti narrati non sono inediti, ma ascoltati nei luoghi in cui sono avvenuti, diventano molto più affascinanti.
E poi la presenza di 2 coppie anziane del North Carolina (non semplicemente degli USA) aggiunge quel pizzico di divertimento che non guasta.
Le domande, solo quelle percepite, sono tra le più varie:
- Sono previste delle soste con wc lungo il percorso?
- Quanto è profondo il bunker in piedi?
- Richiesta di tradurre “QUEUE” con LINE.
- A che età prendete la patente a Praga?
- Richiesta di indicare la Repubblica Ceca sulla cartina che proponeva la divisione in blocchi (NATO e Patto di Varsavia)
- Perché è scritto SSSR quando si dice USSR?
Ma soprattutto la domandona, dopo aver appreso che la Repubblica Ceca non è più un paese comunista: “E allora oggi, che è 1° maggio, perché festeggiate?”
Impagabile la sorpresa sui loro visi nel salire su un tram per la prima volta, o nel prendere in mano un kalashnikov. Quante avventure da raccontare ai loro amici quando rientreranno in North Carolina.
Prima di entrare nel bunker comunque possiamo godere della vista della Torre della televisione, costruita sul finire degli anni ’80, che svetta dalla collina di Žižkov e tristemente nota per essere oggi l’edificio numero 1 nella classifica dei più brutti del mondo.
Perfetta è anche la visione e del mausoleo in cui avrebbe dovuto riposare il leader comunista Klement Gottwald, colui che nel 1948 annunciò l’ingresso della Cecoslovacchia nell’area di dominazione russa. Ammalatosi all’improvviso di polmonite durante i funerali di Stalin nel ’53 fu frettolosamente mummificato, ma qualcosa non andò come ci si aspettava, e il corpo putrescente fu rimosso e cremato. Oggi il suo mausoleo, orribile come quasi tutta l’architettura sovietica, svetta ancora sulla città di Praga e ospita il museo della storia ceca del XX secolo. Gli interni sono quelli destinati ad un mausoleo sovietico, quindi assolutamente da visitare la prossima volta a Praga.
Dopo un pranzo veloce nel bar di uno dei palazzi più belli del liberty boemo, la Casa Municipale nella Piazza della Repubblica, è già scaduta la ventiquattresima ora, sono le 15.30 è il momento di ripartire.
È abbastanza sconcertante il pensiero che ci accompagna durante il viaggio di ritorno: la consapevolezza che città come Praga, Venezia, Barcellona, Amsterdam siano oggi divorate dal turismo mordi-e-fuggi, che porta i suoi cittadini a spostarsi dal centro per lasciar spazio a strutture ospitative di qualsiasi tipo e a negozi di souvenir a buon mercato. La spersonalizzazione e al contrario la loro assimilazione ad un unico grande villaggio turistico globale è qualcosa che ci lascia l’amaro in bocca e ci chiediamo, anche un po’ colpevoli, se esiste il giusto equilibrio tra il desiderio di viaggiare e la volontà di preservare l’identità e la storia dei luoghi visitati. Se qualcosa si può ancora fare per salvare questi posti dai centri massaggi thailandesi, dai musei delle cere o delle torture, dai fast food, dai tour in carrozza o auto d’epoca, dall’oblio. Se il processo di omologazione si possa ancora fermare e ricostituire un modello di città completamente diverso dall’orribile mostro che il capitale globale produce incessantemente.
P.S. a proposito di architettura comunista: nel 1996, durante il tour di Michael Jackson, al posto della statua di Stalin rimossa con la dinamite già nel 1955, fu posto sul piedistallo del leader sovietico una riproduzione in plastica della pop star americana. Ma dopo qualche tempo si decise di rimuovere anche quella. Peccato, sarebbe stato, ancor più dell’attuale enorme metronomo, un simbolo del passare del tempo. Resta comunque nella memoria dei praghesi il nome che diedero all’iniziale complesso monumentale che riproduceva, dietro uno Stalin alto 30 metri, un gruppo scultoreo di 8 tra operai, contadini e soldati: la fila d’attesa dal macellaio.
Che c’avete contro i centri massaggi? I turisti americani avrebbero apprezzato di più :-P. E poi fossi stata in loro avrei fatto un sacco di altre domande pertinenti tipo …”ma voi ce l’avete il super Bowl?
Ah a proposito….E gli asparagi????