Downtown è la nostra meta mattutina, perché naturalmente attratti dalle immagini, riportate su tutte le guide turistiche, di un’incredibile Concert Hall voluta da Lilian Disney e realizzata dall’archistar Frank Gehry.
Dopo aver osservato il sole giocare tra le pieghe di metallo di questa spettacolare struttura, e restituire ogni istante, tra luci e ombre, un’immagine sempre diversa, percorriamo la Grand Avenue alla scoperta degli altri palazzi, musei e grattacieli che la costeggiano.
Ma appena sotto, corre parallela la leggendaria Broadway, che con i suoi teatri ed edifici dell’inizio del secolo scorso, ha fatto da scenografia a scrittori quali Fante, Bradbury, Bukowski e Chandler. Oggi appare rispettosamente decadente: i teatri sono tutti chiusi e ovunque ci sono dei compro-vendo oro, servizi di riparazione cellulari, ma anche negozi che vendono improbabili abiti da sposa fatti di organza e lustrini, che ricordano quelli visti in TV in Matrimoni Gipsy. Perfino dei locali già addobbati di fiori finti pronti ad accogliere frettolose coppie di sposi senza documenti e testimoni.
Dopo tanto girovagare sotto il sole di mezzogiorno, tempestivamente appare l’ingresso del District Market. L’offerta di piatti da qualsiasi parte del globo ci lascia disorientati fino al momento in cui un’insegna luminosa più accattivante delle altre ci induce a fermarci.
Il non aver scorto l’oceano dal 27° piano del City Hall ci spinge fino a Santa Monica per respirarne la brezza e sentirne finalmente l’odore. Perché in questo Los Angeles è come Tokyo, non guarda il mare, la sua sconfinata pianura e i suoi colli sembrano esistere indifferenti alla prossimità ad esso.
Dopo aver girovagato per il Peer, Venice con i suoi personaggi è un’attrazione fatale.
Al ritorno, ripercorriamo gli stessi passi fino al Bubba Gump, con negli occhi il sole morente che cala veloce dietro le colline dell’orizzonte.
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