La tempesta di neve e vento è arrivata, le previsioni meteo ci avvisano che ne avremo per 3 giorni interi, quindi è il momento giusto per pianificare la visita ai monumenti della città.
Il Polaria è un piccolo acquario che ospita 4 foche, di 2 delle 7 specie che abitano i mari del Circolo Polare Artico. È sicuramente più interessante l’architettura esterna che simula dei blocchi di ghiaccio rettangolari nell’atto di cadere l’uno sull’altro, come in un domino, forse un monito al disastroso e irreversibile processo di scioglimento della calotta polare.
Lo stesso concetto dei blocchi di ghiaccio è sfruttato dall’architetto che ha progettato la Cattedrale dell’Artico, ma questa volta gli 11 pezzi di cemento hanno forma triangolare e si ergono dritti e stretti l’uno accanto all’altro. Simbolicamente dovrebbero rappresentare gli apostoli escluso Giuda, che tradì Gesù, ma a noi la struttura di questa chiesa ricorda soltanto l’ennesimo stenditoio per il pesce che a queste latitudini si trova ovunque.
Nevica ancora il giorno dopo, quando optiamo per il museo più interessante della città, il Polarmuseet, che racconta la storia di Tromsø quando, ancor prima di diventare meta di turisti ansiosi di vedere l’aurora boreale, era la porta per la conquista dell’Artico.
Da questa cittadina sul 69° parallelo partirono le spedizioni di caccia alle foche, di esplorazione delle Svalbard, quelle per il mitico passaggio a Nord-Ovest, e la conquista del Polo Nord effettuata con la Fram (Avanti in norvegese), la nave del XIX secolo, modellata sulla forma di un guscio di noce, dotata di una speciale chiglia per resistere alla morsa dei ghiacci, ed esposta nell’omonimo museo di Oslo, visitato la scorsa estate. Le gesta di Roald Amundsen e di Fridtjof Nansen sono qui narrate con dovizia di particolari e corredo di foto e reperti. L’idea di Nansen, scienziato ed esploratore insignito del premio Nobel nel 1922, era che l’Artico fosse solo mare e non terra, e aveva intenzione di far catturare la nave dai ghiacci e fare sì che lasciata andare alla deriva l’imbarcazione si avvicinasse il più possibile al Polo Nord, da lì poi proseguire in slitta e a piedi. La sua straordinaria avventura durò 3 anni e assieme ad un fidato compagno riuscì a raggiungere la latitudine di 86° e 14′. Mai nessuno si era avventurato così a nord. Sono storie che hanno dell’incredibile e ciò che maggiormente ci colpisce, a noi che tanto abbiamo paura del freddo, è l’eroicità di imprese di uomini che non temevano i rigidi inverni del Polo Nord, che per puro amore della scoperta scientifica, della raccolta, rilevazione e studio di dati si spingevano in terre estreme, zone disabitate e inesplorate del globo terrestre dove le temperature possono scendere fino a -40°C. È una sensazione difficile da spiegare, disorientante per noi, vissuti in un molto meno ostile Mar Mediterraneo, chiuso e calmo, esplorato in lungo e largo, in cui, per rintracciare le ultime epiche prodezze, bisogna risalire fino all’avventuroso peregrinare di Ulisse.
Intanto fuori nevica ancora tanto. Ci resta il tempo per vedere la Domkirke, una piccolissima cattedrale in tenui colori pastello, costruita nel XIX secolo, nel momento di maggiore prosperità economica di Tromsø; per acquistare qualche souvenir; per visitare il Nordnorsk Kunstmuseum, in cui si fanno notare, tra dipinti di paesaggi e scene agresti, le opere di un’artista contemporanea norvegese, Aslaug M. Juliussen, che utilizza abbondanza di materiali organici di renna: ossa, corna e budelli.
Mercoledì, dopo mezzogiorno sta ancora nevicando quando ci imbarchiamo sull’aereo che ci riporterà in poco più di 3 ore, lontani dal circolo polare artico, 19 gradi più a sud, a Francoforte e da lì a Milano, ancora altri 5 gradi più giù.
E soprattutto questo ci portiamo a casa, stavolta: un cambio di paradigma che ci spinge a misurare le distanze percorse in latitudine, e non più solo in longitudine e fusi orari, noi che fino ad oggi non siamo mai scesi al di sotto del 34° parallelo, quello di Los Angeles e Hiroshima.
Con tutta quella neve, ci stava tutta una partita a solero!
già, meno male che avevamo i Jocarelli di Patatino.
E se poi venisse confermato che l’Odissea era in realtà una saga nordica…
sì, l’abbiamo letto anche noi, e per le foche/sirene può anche essere, ma Polifemo dove sarebbe vissuto?? In Islanda!?! :O :O