Quattro monasteri e molto altro

Se Guimarães è la culla del primo re del Portogallo, Coimbra ne è la tomba. Dopo un rapido sguardo, il massimo che ci è concesso, alla biblioteca Joanina, che visitiamo durante l’ultimo turno, giusto in tempo per vedere stendere teli di cuoio sui tavoli a protezione dagli escrementi dei pipistrelli, che tutte le notti entrano indisturbati per cibarsi degli insetti, che altrimenti intaccherebbero i preziosi volumi allineati sugli scaffali, visitiamo il Mosteiro de Santa Cruz, dove da secoli riposa Alfonso Primeiro, proprio qui dietro l’altare. Splendida la sala delle reliquie, in cui i resti dei santi sono posti sui lati di piramidi, che sormontano sfere: in un infinito gioco di riferimenti e richiami religiosi e in un ripetersi di simmetrie.

Sull’onda dell’entusiasmo dato dal riconoscere nei dettagli di questi monumenti storici la stratificazione del tempo e degli stili che attraversano il Medioevo per arrivare fino al secolo dei Lumi, ci avviamo alla conquista di altri tre monasteri, tutti dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco.

Con ordine: il primo, il Convento do Cristo di Tomar, sorge su una collina, come struttura annessa a un castello ormai in rovina, che fu dimora dei templari. È un posto stupefacente, uno degli edifici più emblematici del medioevo portoghese, il solo in cui mito e leggenda, storia, religione e arte si fondono assieme per dare vita a un pastiche molto ben armonizzato in cui la croce dei monaci soldati si alterna alla sfera armillare simbolo delle conquiste per mare e per terra di questo popolo.

Restiamo increduli davanti alla Charola, magnifica rotonda romanica, baroccamente decorata e arricchita, dalle cui 16 arcate i soldati assistevano alla messa senza neanche scendere da cavallo. D’altronde con armatura, elmo e maglia di ferro non doveva essere facile muoversi.

Percorriamo smarriti gli 8 chiostri, il lunghissimo corridoio del dormitorio dei monaci, le cucine, le cantine; ci fermiamo solo alla fine a osservare esausti la finestra manuelina di Tomar, le cui decorazioni sono rese ancor più accentuatamente drammatiche dal muschio del tempo e dagli escrementi dei piccioni.

È la volta di Batalha e del suo Mosteiro de Santa Maria da Vitoria, fatto erigere da João Primeiro a seguito di una qualche vittoria sulle truppe franco-castigliane, un pretesto di auto celebrazione e un modo per ingraziarsi gli dei, e perché no per dimostrarsi superiori ai vicini iberici.

Enorme la chiesa e perfetta la commistione di stile gotico e manuelino anche nei suoi chiostri.

Incompiute e non per questo meno belle le 7 cappelle che dovevano costituire un pantheon dei re. Sulle pareti fregi arabeggianti si mescolano a frutta esotica, proveniente dall’America appena conquistata, foglie di vite, e chiocciole, simbolo di immortalità e fecondità.

L’ultimo ma non meno importante è il monastero di Alcobaça, voluto da Alfonso Henriques, sempre lui il primo re del Portogallo, che nasce a Guimarães e riposa per l’eternità a Coimbra cullato dalle messe della cattedrale de Santa Cruz. La chiesa di questo complesso è la più grande di tutta la nazione, a una sola navata e interamente gotica.

Nei transetti di questa chiesa si trovano le tombe di Dom Pedro e Inês de Castro, la cui storia d’amore è stata ampiamente sfruttata per caratterizzare questo posto e imprimerlo nella memoria dei turisti che come noi visitano tutti questi monasteri in poco tempo. Una storia d’amore che sembra nascere da una comunissima storia di corna, lei era la dama d’onore della moglie, che stranamente muore giovane. Poi il suocero la fa uccidere, e Dom Pedro ferito nell’orgoglio e struggente per un amore finito ancora prima di cominciare commissiona uno splendido sarcofago in cui gli angeli sembrano far vibrare le ali per il dolore e i cani che sorreggono il monumento hanno il viso degli assassini.

Il resto del monastero è spettacolare anch’esso. Anche qui i chiostri si alternano a refettorio, dormitorio, sala capitolare e una cucina dotata di un enorme camino e di acqua corrente appositamente deviata da uno dei 2 fiumi che lambiscono la città.

Sulle colonne tortili del chiostro distinguiamo perfettamente stavolta i macarons della regina Maria Antonietta… prima di chiederci se sia sogno o realtà corriamo fuori, poiché proprio di fronte all’ingresso della chiesa, c’è una rinomata pasticceria che vince tutti gli anni i premi per i migliori dolci “conventuali”. Abbiamo bisogno di rinfrancare lo spirito e di compagnia nel nostro viaggio verso l’Oceano.

 

2 Comments

  • Laura 26/04/2019 at 11:15

    Tomar <3 un pezzo di me è rimasto lì … esattamente un pezzo di cuoio capelluto 😂

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    • Paola 02/05/2019 at 10:07

      non l’ho visto… se mi avvisavi lo cercavo… ma dove tra i muschi e licheni della finestra manuelina?

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