La luce bianca di Lisbona

Decidiamo di approcciare Lisbona lentamente, ammirandola prima da lontano, per non rimanere disorientati dalla sua luminosa bellezza e dal suo fascino, rimasto immutato nei secoli. Ci fermiamo a Cacilhas, cercando di scorgere, al di là del Tago, il profilo dei sette colli, ma rimaniamo comunque accecati dai raggi del sole che si riflettono sull’acqua di questo incredibile “mare di paglia”.

Vagabondiamo ancora sulla riva sinistra del fiume, che non è più solo un fiume, ma è anche un porto ed è già mare, ampio sbocco sull’oceano che porta con sé i sogni di viaggio di tutto un popolo, poi ci facciamo coraggio e risaliti in auto veniamo letteralmente trascinati dal traffico nevrotico sul ponte rosso 25 de Abril, mentre la monumentale statua del Cristo Rei ci accompagna con lo sguardo fin sull’altra sponda.

Tappa obbligata, prima di riconsegnare l’auto in aeroporto, è Belem e i suoi leggendari pastéis de nata; trascuriamo il Mosteiro dos Jerónimos e il monumento das Descobertas, poiché è quasi l’ora del tramonto e manca poco all’orario di chiusura.

La sera, dopo cena, passeggiamo con calma fino a Praça do Comércio dove, da 4 giorni, ancora si festeggiano i 45 anni di liberazione dal salazarismo, e risalendo ci fermiamo a curiosare tra gli scaffali della Livraria Bertrand, una delle più antiche della città e di tutta Europa.

La mattina presto andiamo al Convento-museu do Carmo attratti dalla sua navata a cielo aperto e dallo scheletro dei suoi archi gotici sospesi nel vuoto.

Ingurgitata avidamente una polpetta di baccalà troviamo la forza di inerpicarci sulle stradine dell’Alfama passando davanti alla Cattedrale, e poi nel Largo das Portas do Sol, ai piedi della statua del santo protettore della città, guardiamo alla nostra meta: sul colle di fronte, bianco di una pietra che riflette pienamente la luce intensa del sole, il Mosteiro de São Vicente de Fora.

Ma prima di inoltrarci nel labirinto di viuzze restiamo ancora un attimo a guardare i simboli di questa città tutti insieme tra le mani del santo: la caravella e i due corvi che fecero da custodi alle sue spoglie mortali durante il viaggio in nave voluto da Alfonso Henriques (sempre lui), dall’Algarve a Lisbona.

L’Alfama è il cuore pulsante della capitale portoghese, fatto di vicinanze, borbottii, convivenze, intimità porta a porta. A lungo abitato da pescatori e marinai, è rimasto popolare e autentico; un quartiere in cui le lenzuola stese al sole schioccano nel vento e le gabbie dei canarini sono appese nei balconi accanto alle piante di basilico; in cui esistono ancora i lavatoi comuni nascosti negli atri di case dove la luce non è mai entrata; in cui le signore in vestaglia si sporgono con i gomiti dai davanzali, e i vecchietti per strada si entusiasmano nel dare indicazioni, che non potranno evitare ai turisti come noi di confondersi e di perdersi comunque in questo involuto labirinto.

Il Monastero è semplicemente meraviglioso, un angolo di pace oltre i miradouros gremiti di turisti e le piccole vie tortuose percorse da centinaia di orribili TUC-TUC; dall’alto del suo tetto si gode di un panorama mozzafiato, una delle più belle viste sulla città e sul Tago e gli azulejos dei suoi chiostri, che illustrano 38 favole di La Fontaine, sono un’incredibile scoperta, poiché accanto alle storie più note ne troviamo alcune che non conoscevamo affatto.

Ritorniamo nella Baixa, per un goccio di ginjinha nel posto più noto in città, e un pastel de nata in una delle tante pasticcerie e programmiamo di andare a cena nel mercato di Campo de Ourique. È l’ultima sera in Portogallo, e ci piace trascorrerla tra questa gente meravigliosa, gustando semplici petiscos a base di baccalà e un buon vino dell’Alentejo.

La saudade non ci avrà, non stasera, perché ci siamo lasciati tante cose ancora da vedere e molti buoni motivi per tornare: la Casa do Alentejo, la moderna stazione do Oriente, progettata da Calatrava, la casa do Fado, il museo Gulbenkian, la casa dos Biscos, diventato oggi un museo dedicato a José Saramago, che ci ha fatto compagnia lungo tutto il viaggio. E poi posti in cui eravamo già stati anni fa: il Mosteiro dos Jerónimos, trionfo dello stile manuelino, il Palazzo di Queluz, Cabo da Roca, Boca do Infierno.

Ripercorriamo tutto l’elenco sulla strada per l’aeroporto, la mattina dopo, in uno di quei giorni in cui la luce atlantica è viva e quasi soffocante e nel riflettersi sul Tago, accende letteralmente tutti i colori di questa splendida città. Gli occhi e il cuore si spalancano e no, non è saudade, poiché ancora una volta ci viene incontro il “viaggiatore”:

[…] Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. […]
José Saramago

2 Comments

  • GREG 29/06/2019 at 19:05

    Muito obrigado, acordaste o meu desejo de voltar em Portugal 🙂

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    • Antonio 29/06/2019 at 19:12

      Pensa che è davvero uno di quei posti in cui mi trasferirei per la vita….

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