Un frammento dell’anello d’oro

A circa 70 chilometri a nordest di Mosca, a Sergiev Posad, si tange la circonferenza dell’Anello d’Oro: un insieme di città storiche, disposte l’una di fianco all’altra a formare un cerchio attorno al nulla della campagna russa, ma in ogni caso, ciascuna di esse, di elevato interesse culturale, artistico e religioso. Questo almeno riportano tutte le guide turistiche.

Recuperata quindi su internet l’informazione fondamentale su quale sia la stazione di partenza, la mattina presto raggiungiamo Komsolmoskaya, che poi è lo stesso posto in cui siamo arrivati qualche giorno prima con il treno diretto dall’aeroporto. La stazione che cerchiamo è solo una delle 9 principali della capitale, e una delle 3 che si affacciano sulla stessa ampia piazza. Infatti in forza di un’eccezione prettamente russa, ciascuna di loro prende il nome dal terminal della linea ferroviaria cui è diretta, cosicché se la destinazione è San Pietroburgo basterà recarsi alla stazione Leningradskaya (dal vecchio nome della città di Pietro il Grande) se invece la destinazione è Sergiev Posad, sarà sufficiente sapere che è una tappa della mitica transiberiana, che porta fino in Mongolia e in Cina e il cui nome è Yaroslavsky. Facile no? Tutto molto semplice in questo Paese, dove anche le insegne scarseggiano e spesso sono soltanto in cirillico.

Per questo senza alcuna fretta entriamo in stazione e, fatti i primi controlli ai metal detector, cerchiamo frastornati la biglietteria, sperando di avvistare la oramai riconoscibile insegna KACCA. Per errore ci ritroviamo sui binari, ma privi di biglietto. Pensiamo ingenuamente che sbagliata strada si possa tornare sui propri passi, quelli appena percorsi, ma la poliziotta che ci ha visti passare un secondo prima non ci riconosce, o finge perfettamente di non riconoscerci, e blaterando qualcosa di incomprensibile ci blocca la strada. Proviamo a dirle che in realtà dobbiamo ancora comprare il biglietto e che vogliamo tornare indietro. Ma lei inamovibile ci manda in un ufficio, in cui, tra pareti di perlinato troviamo tre persone sedute a delle scrivanie ricolme di scartoffie; e noi, costernati, non sappiamo che ruoli o funzioni abbiano, o che compiti svolgano. Non sappiamo se si tratti di polizia ferroviaria, ufficio immigrati clandestini o semplici addetti alle informazioni. Tutto è surreale, ma delle poche cose che diciamo in inglese sembra che comprendano solo SERGIEVPOSAD. Senza rivolgerci alcun cenno, e lasciandoci nell’assoluta incertezza uno di loro alza il telefono e chiede qualcosa in russo al suo interlocutore. Scrive su un foglietto tre numeri, ce lo consegna e ci accompagna fuori dalla poliziotta. Questa adocchia il foglietto, scambia uno sguardo di intesa con l’uomo che ci accompagna e ci lascia passare. Sul foglio non c’era altro che l’orario dei treni in partenza per Sergiev Posad e consegnandolo alla KACCA ha consentito l’emissione immediata dei biglietti di andata e ritorno, senza alcun ulteriore commento o istruzione. Ah la potenza dei foglietti di questo strano Paese.
In quel momento realizziamo che forse, senza un interprete, e senza conoscere il russo, non è ancora possibile viaggiare nell’autentica Russia rurale. Le differenze culturali sono già tante senza che la barriera della lingua si erga in maniera inesorabile, ovunque e in qualunque situazione. Noi tapini, che credevamo di aver commesso chissà che infrazione o violato chissà che codice, che avevamo creduto, anche solo per un attimo che ci deportassero in Siberia, in fondo poi la stazione era quella giusta, e loro invece stavano soltanto cercando di aiutarci.

Comunque scampato il pericolo, baldanzosi e tronfi saliamo finalmente sul nostro treno, fatiscente e maleodorante, privo di aria condizionata, con i finestrini bloccati, i sedili in vilpelle, il linoleum e la formica ovunque. Due ore, per percorrere 70 chilometri, fermandosi in ogni singola stazione, anche in quelle che sembrano dismesse e in disuso da decenni. Ecco che il tempo nuovamente si dilata. È strano, ma la sensazione che abbiamo da quando siamo arrivati in Russia, è che in questa dimensione tutto avvenga con altri pesi e altre misure, che il tempo subisca un tracollo di valore e abbia altri parametri, così come la percezione dello spazio e delle distanze abbia altre proporzioni in un Paese che si estende su 11 fusi orari differenti. Le ore trascorse in attesa, in lunghe e interminabili code insegnano ad aspettare,

[…] a perdere tempo senza lagnarsi, e in questo modo ci si avvicina inconsapevolmente al mistero della storia russa e della sua essenza. Giacché il genio e il pericolo di questo popolo sta prima di tutto nella sua immensa capacità di attesa, nella sua per noi incomprensibile pazienza, che è tanta vasta quanto la terra russa. Questa pazienza ha sconfitto Napoleone e l’autorità zarista, è sopravvissuta a ogni epoca, […]

a 2 guerre mondiali e 3 rivoluzioni, ai bolscevichi, alla dittatura staliniana, alla cortina di ferro e al KGB e ancora oggi resiste a una nuova forma di autocrazia.

Tutto ciò la Russia ha potuto tollerarlo soltanto grazie a questa sua eccezionale resistenza nella passività, attraverso il mistero di una capacità di sopportazione illimitata, attraverso un NITSCHEWO (“non fa niente”) ironico ed eroico al tempo stesso, e una tenace, muta e profondamente devota pazienza, la sua vera e incomparabile forza.
Viaggio in Russia – S. Zweig

Sono questi i pensieri che ci attraversano la mente mentre noi, assieme a essi, vediamo scorrere fuori dai finestrini l’orribile periferia moscovita e la campagna brulla che in breve si fa bosco. Ma qualcosa rende comunque imperdibile l’esperienza di viaggio su questo vecchio “Elektrichka”: l’umanità più varia che lo popola, il suo divenire luogo di incontro, scambio e offerta di merci di qualsiasi genere e provenienza, e in alcuni tratti perfino palcoscenico improvvisato per altrettanto improvvisati talenti musicali.

Giunti a destinazione, dopo aver cercato di interpretare i tabelloni con gli orari dei treni di rientro a Mosca, ci avviamo verso il Monastero di San Sergio. Nonostante il cielo sia coperto, le tipiche cupole a cipolla si intravedono da lontano, oltre le possenti mura bianche, e basta seguire la strada costellata di piccole bancarelle di souvenir per turisti, pellegrini o anche solo per curiosi.
Nella piazza antistante le porta santa, tra gli autobus parcheggiati, scorgiamo la biglietteria e ci lanciamo sull’acquisto dei ticket di ingresso; non ci sembra vero ma non c’è coda, per la prima volta da quando siamo sul suolo russo, non c’è coda. La nostra sorpresa una volta visto che, come corrispettivo dei contanti, ci viene dato un fogliettino, l’ennesimo, con su scritto semplicemente 4, accompagnato da qualche indicazione verbale sul dove ritirare i biglietti. Quindi non c’è fila solo perché è stata spostata altrove, solo perché da una attività ne hanno ricavate 2 dando un rispettabile lavoro a ben 2 persone.
Continuiamo a meravigliarci e probabilmente non smetteremo mai, forse perché è anche in questo il piacere del viaggio: smettere di pensare e osservare semplicemente, senza dover trovare una ragione a ogni cosa.

Il complesso religioso è composto da diverse chiese, appartenenti a stili ed epoche diverse e al loro interno i turisti chiassosi si mescolano ai devoti, raccolti in preghiera. È un posto ricco di storia e spiritualità, uno tra i luoghi sacri più importanti della Chiesa Ortodossa Russa, una Lavra, come i monasteri bizantini e del Monte Athos.
Nella Cattedrale della Trinità si conservano le spoglie mortali di San Sergij, ed è facilmente riconoscibile dalla lunga fila di fedeli che attendono il loro turno per ore pur di arrivare al cospetto del Santo, in uno spazio angusto e mistico, quasi oppressivo per il buio, l’odore delle candele e i canti delle donne.
La Cattedrale dell’Assunzione, voluta da Ivan IV il Terribile nel XVI secolo, è la nostra preferita per le cupole azzurre con stelline dorate. Al suo interno la ricchezza si spreca, tanto quanto sarebbero sprecati gli aggettivi per descriverla. Di fianco una cappella in cui scorre l’acqua santa e davanti alla porta di ingresso le donne in coda, ciascuna con un bidone vuoto da 2 litri. Curiosi andiamo a vedere e anche noi riempiamo le nostre bottigliette, come fossimo a Lourdes.
Il campanile, opera del Rastrelli, è in stile italiano barocco, così come la chiesa di Nostra Signora di Smolensk.
Restiamo a girovagare tra le sue mura, e sotto le torri fortificate fino al primo pomeriggio, quando decidiamo di rientrare a Mosca e fare un giro al Flacon, un insieme di edifici industriali riconvertiti in negozi di design e abbigliamento, bar e ristoranti, laboratori artistici e spazi condivisi, con installazioni e muri coperti da opere di street art. Un posto molto hipster e soprattutto molto GLOBAL, che conferisce a questa metropoli un’aria di normalità, tanto agognata, e omologazione, privata di qualsiasi valenza negativa.

P.S. Per giorni ci siamo chiesti perché la parola Лавра in cirillico fosse poi diventata LAURA in italiano: è la derivazione dal greco Λαύρα che ha traslitterato il russo e ha trasformato una B/V in U, mantenendo inalterato il significato. La magia di suoni e alfabeti diversi.

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