Lo splendore degli Zar prima della rivoluzione

Dopo aver a lungo studiato, anche con l’aiuto di Arina, la nostra amica di San Pietroburgo, il sito web dell’Ermitage e le modalità di acquisto dei biglietti, assodato che i prezzi sono differenti a seconda che tu sia russo o non lo sia, e che non esiste alcuna possibilità di riservarsi una fascia oraria di ingresso, né tanto meno un giorno specifico, compriamo i coupon e la mattina presto, ancor prima che il museo apra, corriamo a metterci in coda, in un’altra irrinunciabile, inderogabile, indispensabile coda.
È mercoledì e oggi l’orario di apertura è prolungato fino alle 9.00 di sera; inoltre sta piovendo e le previsioni danno pioggia tutto il giorno: siamo così contenti di trascorrere una giornata all’asciutto circondati dalla bellezza delle molteplici collezioni di uno dei musei più grandi del mondo, che ci sembra quasi di aver vinto una lotteria.
Abbiamo anche le magliette giuste per le foto, per il grande scalone d’onore, tutto bianco dei marmi di Carrara che esalta perfettamente il verde e il viola in cui nuotano i maguro di Tsukiji.
Sono quasi 1.000 le sfarzose sale dislocate nei 4 edifici collegati tra loro da gallerie, ma chissà quanti i chilometri da percorrere e quante le opere d’arte custodite in questo splendido e monumentale scrigno.
Ci perdiamo già soltanto davanti alla mappa, nello scegliere le sezioni da visitare e prima di partire guardiamo alle nostre scarpe, sperando di aver scelto in assoluto le più comode che avessimo a disposizione.
Il lungo pellegrinaggio ci conduce davanti a opere di inestimabile valore, testimonianze immense di un intero ciclo di storia dell’arte.
Oltre la sala del trono, in cui l’afflusso di visitatori avviene ancora oggi sotto lo sguardo vigile di Pietro I, il grande orologio d’oro che, puntuale una volta al giorno, dispiega ancora la coda pavoneggiandosi nella sua immutabile bellezza davanti a effimeri sorrisi da selfie. Quando oramai i più crollano esausti sui divanetti, senza alcun timore affrontiamo l’intera sezione impressionista dei collezionisti Shchukin e Morozov, nel Palazzo dello Stato Maggiore.
Solo poco prima che il museo chiuda, ormai in uno stato che oscilla tra la trance agonistica e un’inconsapevole indigestione, prenotiamo la cena  in un ristorante che promette uno dei migliori Stroganoff della città, impavidi e certi di poter sopravvivere oramai a tutto, anche alla panna acida con i funghi trifolati.

E se della ricchezza accumulata dagli zar l’Ermitage è l’espressione somma, la rivoluzione è della sua sfacciata ostentazione la più logica conseguenza. Se gli zar impiegarono due secoli per edificare una nuova capitale e intorno ad essa una nuova Russia, Lenin ci mise solo due giorni per porre fine a quell’era e inaugurarne una nuova.
Andiamo allora a vedere il posto in cui tutto è cominciato, la stazione Finljandskij, in cui, ancora ferma su un binario, si può vedere la locomotiva a vapore che portò il leader della rivoluzione con una valigia e tantissimi sogni, da una Svizzera, rancida e filistea, attraverso la Germania, la Svezia e la Finlandia, proprio qui, nella piazza che prende il suo nome e in cui si erge una sua statua, in posa da oratore, nell’atto di parlare alle masse.
Ciò che rende unica questa statua rispetto alla altre migliaia di statue tutte uguali è il suo piedistallo: Lenin è su un autoblindo, in stile primo costruttivismo, simbolo di una società nuova, mentre a pochi chilometri, dall’altra parte della Neva, Pietro il Grande cavalca immobile da secoli il suo destriero. Entrambi la mano destra alzata, ma quella dello zar è rivolta al mare, al nord e alla Finlandia, quella del leader della rivoluzione, che volge le spalle alla stazione, guarda alla Russia e al suo popolo.

Nella riserva aurea della mitologia sovietica c’è anche l’incrociatore Aurora, simbolo della rivoluzione, ma anche emblema della storia della Russia tutta, oggi definitivamente trasformato in museo.
Con un colpo sparato dal suo cannone venne dato il via alla Rivoluzione d’Ottobre e alla presa del Palazzo d’Inverno. Prima ancora aveva prestato servizio durante la guerra russo-giapponese, le azioni militari nel Mar Baltico durante la Prima Guerra Mondiale, e perfino durante le operazioni di soccorso che hanno portato aiuto alle popolazioni di Messina e Reggio Calabria colpite dal terremoto del 1908.

Seguendo le tracce di Lenin ci dirigiamo all’istituto Smolnyj, il luogo scelto come quartier generale dai bolscevichi, il posto da cui la rivoluzione prese forma, da dove vennero impartiti gli ordini.
Lungo la strada dritta e ampia che porta alla Cattedrale Smolnyj, che nel suo azzurro pastello esaltato dai raggi del sole ci attira come una potente calamita, vediamo il palazzo neoclassico di Tauride, voluto dal principe Potemkin (il conquistatore della Crimea, l’antica Tauride appunto), che fu sede della Duma di Stato, espressione del governo provvisorio del 1917.
Veniamo poi scacciati in malo modo dalla polizia, davanti all’Istituto Smolnyj, a causa di un nostro timido tentativo di intromissione, alla ricerca di un presunto museo Lenin di cui ancora oggi ci resta ignota la precisa collocazione.

Dopo aver ammirato a lungo la cattedrale e aver indugiato oziosamente sui dettagli delle sue splendide quattro facciate barocche, andiamo a curiosare nella piazza della Dittatura Proletaria, a conclusione di questo giro, portando con noi l’immagine di uno dei due propilei su cui campeggia a caratteri dorati la scritta “Primo Soviet della Dittatura del Proletariato”.

2 Comments

  • Greg 15/02/2020 at 00:46

    Splendide foto e racconto molto coinvolgente, come sempre; complimenti, mi eravate mancati 🙂

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    • Paola 15/02/2020 at 23:37

      Grazie mille. 😍

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