L’interesse e la curiosità per il retrogaming ci porta, e qualcuno tra noi anche un po’ forzatamente, al Museo dei Videogiochi Sovietici.
Si tratta di un’unica grande stanza, in parte soppalcata, in cui sono esposti una cinquantina di macchine che risalgono ai tempi di Brezhnev. Il biglietto di ingresso comprende una scatola di fiammiferi dal gusto rétro, contenente una scorta di monetine da 15 copechi, con le quali poter provare a far funzionare i giochi disponibili. La meccanica e la tecnologia di questi apparecchi fa molta tenerezza, se si pensa alle moderne consolle, ma anche alle nostre sale giochi degli anni ’90.
Qualche foto di rito e corriamo a fare un giro in metropolitana, per un confronto con quella di Mosca, che tanto ci era piaciuta.
La prima è la stazione di Ploshchad Vosstaniya in cui, sulle pareti della banchina centrale i bassorilievi bronzei raccontano i primi attimi della rivoluzione: Lenin di nuovo sull’autoblindo, fuori la stazione Finlandia e l’incrociatore Aurora, che spara a salve un momento prima della presa del Palazzo d’Inverno.
Poi la Narvskaja con raffigurazioni di proletariato in festa tra falce e martello ornati di corone di alloro, e la Kirovskij Zavod, le cui decorazioni sono ispirate all’industria petrolifera mentre sul fondo del corridoio centrale campeggia un busto di Lenin dallo sguardo severo.
Tra le ultime stazioni a sud della metro rossa visitiamo quella di Avtovo, il cui soffitto è retto da colonne di marmo e vetro, che nel riflettere la luce dei fastosi lampadari, creano eccezionali effetti cromatici.
Ci fermiamo in alcune stazioni speciali, definite ascensori orizzontali, poiché hanno serramenti in ferro sulla piattaforma utili a separarla dalla galleria su cui corrono i treni. Sono state costruite e progettate per proteggere i passeggeri da erosioni e inondazioni, poiché il suolo di San Pietroburgo è impregnato di acqua e sabbia. Scendiamo in una di queste, la più antica, quella di Park Pobedy, per raggiungere attraverso un quartiere dall’edilizia staliniana, poco caratteristico per San Pietroburgo e molto più simile alla tipologia urbanistica di Mosca, la Piazza della Vittoria, teatro di lunghi combattimenti durante i 900 giorni di assedio della città.
Da lontano si scorge l’obelisco di circa 50 metri in granito rosso, con in cima le date di inizio e fine della Grande Guerra, e tutto intorno un gigantesco anello non chiuso, simbolo della rottura dell’assedio. Sono diversi i gruppi scultorei, alcuni in pose eroiche, altri in atteggiamenti drammatici e commuoventi, mentre il sottofondo di musica sinfonica e il cielo plumbeo contribuiscono a rendere l’atmosfera ancora più straziante e coinvolgente nel ricordo delle innumerevoli vittime di Leningrado.
Il giorno dopo è già il 24 di agosto, ma prima di andare in aeroporto ci resta giusto il tempo di visitare la casa museo di Dostoevskij, l’ultimo degli appartamenti in cui è vissuto il grande scrittore. Anche questa, come tutte le precedenti, è una casa d’angolo con le finestre sulla strada, dalle quali egli poteva osservare lo scorrere della vita quotidiana di San Pietroburgo, di questa città che probabilmente non gli piaceva affatto, dato che si lamentava dell’avere “la disgrazia di abitare nella più astratta e premeditata città del globo terrestre”.
A dispetto delle atmosfere tormentate e cupe che descrive, della Russia ubriaca e avvilita a cui si ispira, delle piazze ricettacolo degli ultimi della città, tra i quali estrae i suoi personaggi, questo appartamento in cui visse con la moglie i suoi due figli trasmette una calma assoluta e una pace dimessa.
La luce filtra attraverso le tende e rende queste poche stanze ancor più intime e raccolte.
La scatola di tabacco su cui la figlia Ljubov ha scritto “28 gennaio 1881: è morto il babbo”, il cavalluccio a dondolo, il samovar, il tavolo da lavoro con ancora tutte le sue carte aperte contribuiscono a rendere questo posto straordinario nella sua semplicità, così lontano dalla Pietroburgo monumentale e narcisista che non smette mai di rimirarsi nelle acque della Neva.
Quando usciamo veniamo investiti dalla piena luce del mezzogiorno e mentre il vento spazza via veloce le nuvole, i nostri occhi sono ineluttabilmente attratti dall’azzurro incondizionato che sovrasta questa incredibile città.
“Poco mi serve. Una crosta di pane, un ditale di latte, e questo cielo, e queste nuvole”.
Velimir Chlebnikov
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