La prima tappa, quella da cui ripartire, dopo quasi 2 anni e mezzo di immobilità forzata. Madrid non è solo uno dei posti da cui mancavamo da tanto tempo, ma anche una città accogliente, in cui è semplice comunicare, muoversi, mangiare, sorridere. In cui le regole del covid sono simili alle nostre, e nella giungla di obblighi e divieti è facile orientarsi.
E tutto di questo viaggio ha avuto fin dall’inizio il sapore della novità e della riscoperta: dal fare il check in on line con mille nuovi form per la sicurezza e la salute, al camminare per l’aeroporto con il passaporto e il biglietto come fossero trofei, dal ritrovarsi in grado di calcolare perfettamente i tempi necessari per compiere tutte le procedure d’imbarco, al sentir parlare in un’altra lingua e scoprirsi vogliosi di rimettersi in ascolto e in discussione.
Anche il lungo ritardo del volo è passato assolutamente inosservato, presi come eravamo dal goderci appieno il momento.
L’esplorazione della città non poteva che partire da Plaza Mayor, ricolma di tavolini all’aperto che traboccano di vita e convivialità tutto il giorno, sotto lo sguardo austero di Filippo III. E poi Puerta del Sol, con la sua iconica insegna di Tio Pepe che da sempre serve “el sol de Andalusia embotellado“.
Qualche chiesa è d’obbligo nella “cattolicissima Spagna”, sfruttando la scusa della ricerca delle spoglie di San Isidoro, il santo protettore della città. Anche una visita al convento di clausura avevamo previsto, per poter approfittare della vendita dei dolcetti a base di zucchero e tuorlo d’uovo, come da tradizione in Spagna dai tempi di Santa Teresa d’Avila. Purtroppo dopo le fatiche di Pasqua le monache si sono concesse qualche giorno di ferie e hanno deciso di sospendere la produzione per un po’.
Dopo aver ancora a lungo girovagato per il centro abbiamo cercato un posto per cenare e ci siamo mostrati impavidi davanti al baccalà fritto e abbondanti porzioni di patatas bravas. Anche la birra, servita fredda in bicchieri ghiacciati aveva un altro sapore, quello della leggerezza e della spensieratezza. Proprio ciò che cercavamo.
La notte ci ha regalato ancora qualche splendido scorcio di una città che nel nostro immaginario resta pur sempre quella coloratissima di Almodovar e dei suoi vividi personaggi.
La mattina dopo era ancora una splendida giornata di sole, e sentivamo il bisogno di una colazione da veri campioni: chocolate y churros alla Chocolatería San Ginés.
E poi su e giù per le vie del centro a curiosare nei mercati al coperto che affiancano ai banchi di frutta e verdura quelli di jamon, ai bar per tapas le birrerie artigianali; a sbirciare nei vecchi cinema di inizio ‘900, restando incantati dalla vita di quartieri che sembra non siano ancora intenzionati a cedere un solo centimetro alla gentrification che infetta oramai tante città.
Prima di cena ci siamo concessi ancora qualche ora al parco del Retiro, e prima di uscire abbiamo cercato la statua dell’Ángel Caído, una delle poche al mondo dedicate a … Lucifero.
Patatas bravas… parli di tuo cognato???