Nell’estate del 2020, in un articolo del numero speciale di Viaggi di Internazionale, un giornalista statunitense si poneva questa domanda, pensando proprio all’Islanda, quella che lui ricordava, visitata circa 20 anni prima, in cui non esistevano ristoranti di lusso, si poteva incontrare Björk in un chioschetto a mangiare hot dog e la gente dell’isola credeva ancora che elfi e troll si nascondessero nell’immensa brughiera.
In pieno lockdown, nel riflettere sulla risposta, si accorse di quanto fossero importanti i posti che ci portiamo dentro nella memoria, di come li idealizziamo e di quanto spesso ci ritiriamo in essi tanto più ne siamo lontani, costretti a rimanere a casa. E allora non è forse questo l’esempio più estremo dei viaggi “inautentici”?
Oggi l’Islanda è meta di oltre un milione di visitatori ogni anno, ma l’oggetto del turismo di massa può definirsi viaggio non autentico? Ha ancora senso oggi, fare una distinzione tra turisti e viaggiatori? Solo perché siamo in tanti a voler vedere questi posti mitici e leggendari, che sempre più spesso fanno da sfondo a film e serie tv, ammirare da vicino la coesistenza di ghiaccio e fuoco che rendono questa terra così inospitale eppure così affascinante, tastare con mano l’osservato speciale del più grande cambiamento climatico a cui potremmo mai assistere? Non c’è forse dell’ipocrisia nel volersi considerare viaggiatori anziché turisti di passaggio?
Le sole cose che importano, ci ripetiamo sempre, sono lo spirito con cui si affronta un viaggio, gli occhi con i quali si guarda ai luoghi visitati, la voglia di scoperta e il desiderio di ricerca. Il resto non conta. E allora ogni viaggio è autentico, perché comporta un arricchimento personale, un accrescimento della propria consapevolezza e del proprio stare su questo pianeta meraviglioso.
E di bellezze naturali l’isola ne ha tantissime da offrire.
Il nostro giro comincia ripercorrendo le tappe di tanti: innanzi tutto Reykjavik, nel lungo crepuscolo del primo giorno, che appare affascinante, nonostante il cielo sia un po’ nuvoloso. Siamo disorientati dal non riuscire a vedere il sole che cala sull’orizzonte e ci sorprendono le morbide tonalità dell’indaco, che degradano nel rosa. La ricerca dei monumenti, è solo un pretesto per percorrere fino a tardi, la strada lungo il fiordo su cui la città si adagia. Gli edifici del centro storico, bassi e ricoperti di lamiera ondulata di tutte le tonalità di una scatola di pennarelli, emergono in maniera tridimensionale in questa tenue luce serale.
Il giorno dopo è la volta della discesa nel Þríhnúkagígur, un vulcano dormiente da 4.000 anni. La mattina partiamo per una passeggiata di circa un’ora per raggiungere la cima del cratere, da cui un marchingegno di metallo ci cala per 120 metri di profondità.
È questo un posto eccezionale, perché la lava ha trovato il modo di uscire attraverso una galleria, lasciando la cavità del vulcano completamente vuota. Appena inizia la discesa ansiosi guardiamo in basso, verso l’abisso, dove altri visitatori, che appaiono minuscoli, si aggirano tra le rocce con caschi e torce frontali in testa. Mentre scendiamo in questa enorme camera magmatica osserviamo il rosso del ferro, il nero della lava, il giallo dello zolfo e il verde dell’ossido di rame. Anche le formazioni rocciose cambiano mano a mano che si scende e si ripercorrono i millenni trascorsi.
Una volta sul fondo la consapevolezza di camminare su rocce che risalgono al tempo in cui i primi esseri umani comparvero sulla terra è proporzionale solo a quella di estrema transitorietà e caducità.
Risaliamo in superfice, passando attraverso quella che ora ci appare una strettissima fessura, in proporzione all’enorme stanza lavica da cui usciamo, grande quanto 3 campi di basket e alta quanto la Statua della Libertà.
In superfice rinfrancati da un’ottima zuppa di agnello, osserviamo un cucciolo di volpe artica giocare con il figlio del gestore del rifugio e ci prepariamo ad andare alla Blue Lagoon.
La giornata splendida e la temperatura superiore ai 10° C sono il presupposto di lunghe ore in ammollo nelle acque calde e silicate delle piscine. Abbiamo chiesto di riservare un tavolo presso il ristorante LAVA, all’interno della struttura, e questa è un’ulteriore garanzia delle ore di relax che abbiamo intenzione di trascorrere in questo posto magico, dal panorama ultraterreno, proprio come pubblicizza il sito. E poco ci importa se si tratta di acqua di scarto, dal colore lattiginoso, della vicina centrale geotermica, in cui fanno ricerca e sviluppo molto probabilmente finanziandosi con il ricavato delle vendite dei biglietti di ingresso non proprio economici.
Ci godiamo il calore sulla pelle dell’acqua a circa 40° C, tre maschere viso e una birra a bordo piscina, prima di una cena a base di pesce atlantico splendidamente cucinato.
Il senso pieno di rilassatezza e appagamento e le immagini dell’interno del vulcano impresse nella mente per un attimo ci lasciano credere che saremo in grado di dominare il tempo e qualsiasi avversità, per le prossime 2 settimane. Pensiero fugace quanto illusorio.
Bellissima la discesa nella cavità vulcanica!
Grazie all’AIFOGN di Cate, il resto è GOT