La voglia di andare a vedere il Landmammalaugar ci rapisce improvvisamente, durante un brainstorming serale di preparazione del tour, quando sul sito della compagnia che traghetta i visitatori ai piedi di questo altopiano dell’interno, compare una foto di un autobus gran turismo che attraversa un fiumiciattolo. Sì, è proprio questa l’esperienza che vogliamo provare: un mezzo di trasporto ordinario che si trasforma in uno straordinario mezzo anfibio.
Le altre immagini, che promettono panorami di una bellezza disarmante all’interno della Riserva naturale di Fjallabak, non hanno su di noi lo stesso effetto magnetico.
È questo il motivo per cui una mattina di agosto ci ritroviamo alle 7.30 pronti ad affrontare quella che si prospetta essere una giornata sfiancante.
Lungo il viaggio di circa 2 ore ci fermiamo all’imbocco della strada che porta all’Hekla, uno dei più attivi e terrificanti vulcani d’Islanda, tanto da essere stato considerato per secoli la porta dell’inferno. Il volume di materiale lavico che ha eruttato nei millenni è considerato superiore a quello di pressocché tutti gli altri vulcani del mondo.
Da questa distanza non si riesce a intuirne la pericolisità, dovuta a una camera magmatica talmente profonda che i normali strumenti di rilevazione hanno difficoltà a percepirne i sussulti in tempi ragionevoli per dare l’allarme. La sua somiglianza al Vesuvio portò perfino Leopardi nel suo “Dialogo della Natura e di un Islandese“, a cimentarsi nella descrizione di una natura matrigna, crudele e indifferente, riferendosi proprio l”Hekla, ancor prima di proporre la medesima argomentazione nella sua più nota “Ginestra“, e farne la nota distintiva della sua poetica.
Anche il compositore islandese Leifs con la sua opera musicale Hekla, Op. 52, volle descrivere l’eruzione a cui egli stesso aveva assistito nel 1947 e lo fece utilizzando strumenti assolutamente non convenzionali quali martelli, incudini, catene, sirene, campane, tubi d’acciaio e mazze di ferro. L’enorme baccano generato, a tratti spaventoso, non riscosse alcun successo e l’opera fu relegata all’oblio per oltre 30 anni e poi, come sempre accade, fu riscoperta solo a seguito della morte del suo autore.
Ma nulla, neanche queste sono cose che riscuotono il benché minimo interesse negli astanti.
Quindi non ci resta che sfruttare la sosta per far decollare il drone, sebbene il tempo concessoci non è sufficiente a effettuare un corretto atterraggio. Il pilota cerca di afferrarlo al volo in fase di discesa, ma le eliche gli tagliano le mani, e le ferite riportate probabilmente dureranno quanto tutto la vacanza.
Ancora assonnati e sprovveduti arriviamo al punto di partenza del trekking e lasciamo che la vista delle meraviglie che si dispiegano davanti ai nostri occhi ci colgano del tutto impreparati.
Difficile descrivere la sorpresa provata nel vedere tutte le sfumature di colore della polvere di riolite che ricoprono montagne incastonate tra l’azzurro incontaminato del cielo e le distese nere di ossidiana.
Ci avventuriamo su un percorso breve e passiamo in zone in cui l’acre odore di zolfo preannuncia getti di vapore che fuoriescono dalle sorgenti termali. Sentiamo effettivamente la terra gorgogliare sotto i nostri piedi: è l’eco ancestrale di mondi inesplorati, è la voce primordiale della Terra.
Passeggiamo su ampie distese acquitrinose in cui pascolano pacifiche le pecore, tastiamo il morbido muschio che ricopre la roccia lavica, che sembra appena smossa da una qualche scossa tellurica. La vista di pareti verdi friabili che degradano verso un piccolo corso d’acqua sotto bianche nuvole tridimensionali è uno spettacolo che ci coglie senza fiato. O forse è la fatica dell’ultimo tratto di percorso?
Un fugace pranzo e ripartiamo per rientrare a Hella, da cui con l’auto ci immettiamo finalmente sulla Þjóðvegur 1, la Ring Road che percorre tutto il periplo dell’isola per 1322 km. La faremo in senso antiorario, perché abbiamo letto da qualche parte che gli islandesi nelle piscine si muovono in questo verso.
Obiettivo del pomeriggio: le 2 cascate di Seljalandsfoss e di Skógafoss.
Lungo la strada una breve sosta per fare benzina è il pretesto per andare a curiosare tra il junk food in vendita sugli scaffali del minimarket e fare scorta di pop corn e liquirizia, di cui gli islandesi sono ghiotti. E finalmente l’aneddoto degli astronauti americani in training sull’isola nel 1967 collegato al nome delle barrette di liquirizia ricoperta di cioccolata “APPOLO” non delude e suscita tutta la curiosità che merita e che sarebbe spettata anche alle altre storie, accolte fin qui invece con apatia e distacco.
La Seljalandsfoss è tra le più spettacolari attrazioni dell’Islanda, perché consente, al costo di una doccia completa, di raggiungere la grotta alle spalle della cascata, passare sotto il getto e osservare il mondo da dietro le acque del ghiacciaio Eyjafjallajökull. Ci vestiamo di tutto ciò che di incerato e gommato disponiamo, qualcuno sfodera perfino un poncho nuovo di zecca, di cui Decathlon, alla modica cifra di € 5,99, garantisce l’assoluta impermeabilità. Ma è una speranza effimera, dura giusto il tempo di raggiungere i primi scalini che portano alla cascata. Il vento, oltre a contribuire ulteriormente alla dispersione dell’acqua già vaporizzata dalla caduta di circa 60 metri, si diverte a giocare con i copriabiti come fossero vele. Divertente, indubbiamente, pura gioia.
Ancora fradici ci dirigiamo verso Skógar, per vedere la Skógafoss, la cascata che ha il potere magico di far ritrovare, a chiunque si bagni con le sue acque, un oggetto perduto e a lungo cercato. Senza aver focalizzato bene cosa potremmo ritrovare e senza soffermarci troppo sulla leggenda della maniglia del forziere che divenne battente della porta di una chiesa, speriamo solo di ingannare la dea fortuna reindossando i panni già zuppi dell’acqua della precedente cascata. Per questo ci avviciniamo il più possibile, anche se vista da vicino perde un pizzico della sua magia e del suo incanto.
La giornata volge al temine e siamo costretti a rinunciare ad andare a vedere il relitto del Douglas Dakota DC3, perché dal parcheggio più vicino ci sono da percorrere a piedi 4 km, e non siamo disposti a privarci della cena, anche fosse solo una birra e un Fish&Chips nell’unico pub di Vík.
Stupenda come sempre Landmannalaugar! Povero pilota di droni comunque!!