L’ossessione per l’ambra grigia

Sono giorni che qualcuno tra noi cerca di monopolizzare la conversazione di inizio giornata con il bollettino dell’espletamento delle funzioni corporali. Il tentativo a questo punto, doveroso, è provare a portare la discussione su qualcosa che sia attinente, ma di maggiore interesse, che sia affine ma allo stesso tempo possa incutere un po’ di soggezione. Nel numero speciale di Viaggi di Internazionale di quest’estate compare un articolo che fa al caso nostro: La misteriosa ambra grigia.
La provenienza e la natura inspiegabile di questa sostanza, che ha a che fare con i capodogli e le loro feci, che puzza terribilmente, ma che è ricercatissima dall’industria dei profumi, tanto da avere un valore inestimabile, riesce nell’intento di elevare il tono e il contenuto degli argomenti mattutini e, sotto un cielo titubante usciamo da Húsavík.
Con la fascia anti moscerini già calata su naso e bocca, ci dirigiamo verso il lago Mývatn, che sorge in un’antica area geotermica, considerata tra le meraviglie d’Islanda, modellata 2300 anni fa da una colata di lava. Sarà che non siamo geologi, ma non riusciamo a distinguere tutte le forme vulcaniche qui presenti: le fessure, i coni di scorie, le caldere, i maar, i duomi lavici.
Il solo leggerne i nomi ci confonde e rimaniamo sulla riva del lago ad osservare inebetiti. Ma una cosa è certa: non ci sono moscerini, ma neanche le alghe marimo, il vero motivo per cui siamo qui. Sembra infatti che esistano solo 2 posti al mondo in cui è possibile vedere rotolare queste sferette verde smeraldo: il Lago Mývatn e il Lago Akan, a 300 chilometri da Sapporo in Giappone. Dobbiamo tristemente abbandonare i nostri progetti di traffico di alghe. Andremo fin sull’isola di Hokkaido se necessario, ma non oggi.Il tempo è ancora incerto, ma il fatto che il puffin sia oramai stato eliminato fa ben sperare e optiamo per un bel bagno caldo nell’area termale della zona. L’atmosfera è rilassata e stare a mollo nelle acque turchesi ricche di sali minerali ha su di noi tutti gli effetti sperati. Non c’è nulla di più rigenerante di un lungo bagno caldo, e il disagio dei giorni trascorsi scompare in attimi di benessere estatici, resta solo il ricordo della bellezza. Sarà la composizione chimica dell’acqua, l’elevata concentrazione di zolfo, il bicchiere di prosecco bevuto a bordo vasca, l’uccello stipato nel cassettino dell’auto, ma il cielo è finalmente (quasi) sgombro di nubi.
Dopo pranzo raggiungiamo la Goðafoss, “la cascata degli dei”, una tra le più spettacolari d’Islanda, quella nelle cui acque, secondo le leggende, furono gettati i simulacri degli dei pagani a seguito della conversione al cristianesimo. L’acqua precipita da poco più di 10 metri, ma è il suo insolito blu cobalto a rendere lo scenario unico.
Diretti ad Akureyri ci fermiamo nel mezzo del nulla, per una breve sosta a base di frittelle dolci con uva sultanina, le ástarpungar, tipico dolce della tradizione islandese. Siamo un po’ diffidenti perché celano un segreto degno dell’epilogo di una delle più belle saghe norrene. Pare infatti che nella pastella fossero stati nascosti e mescolati i testicoli dell’amante di una moglie molto bella, ma infedele e, quindi poi una volta fritti, dati in pasto all’ignara fedigrafa.
Il caffè è ottimo, e la calma e la pace pervadono la luce di questo accogliente locale.
Sarà poi vero che “nei posti piccoli la vita si fa più grande” (J.K. Stefansson)?
Che lontani dal rumore del mondo i sensi si acuiscono e si ricomincia a sentire il battito del cuore e il respiro dei sogni?
Che diventa naturale sorridere, ricolmi di ottimismo?

Ad Akureyri, dopo aver curiosato tra le varie offerte di whale watching e gli orari di partenza dei tour del giorno successivo, siamo pronti per una serata al pub e al pertinente torneo di freccette. L’Eyjafjörður la mattina dopo è irradiato da una luce splendida. Dalle sue sponde si intravedono già le prime balene pilota, poco più grandi dei delfini, le cui pinne dorsali interrompono il tremolio dei riflessi del sole sulla superficie dell’acqua.
Tratteniamo il respiro e rimandiamo lo stupore al giro pomeridiano, per correre al giardino botanico cittadino, il più a nord del mondo, che ospita un impressionante numero di piante subtropicali e offre viste spettacolari sul fiordo.
In realtà i sentieri delle aiuole sono affollati di croceristi appena sbarcati e, ciò che era stato promesso come paradiso di pace e tranquillità, appare ora come un semplice parco pubblico.

Dopo pranzo saliamo a bordo della barca per il whale watching e trascorriamo le successive 3 ore su e giù per il fiordo, cercando e avvistando piccole balene, godendoci il sole e la luce splendida di questa rara giornata estiva, appena sotto il 66° parallelo, il limite meridionale del circolo polare artico.
Intanto la guida, ignara dei mezzucci attuati per scampare al brutto tempo, si congratula con noi per la giornata estremamente fortunata e ci spiega che il fondale dell’Eyjafjörður ospita anche un camino geotermico, lo Strýtan, una specie di torre da cui fuoriesce acqua calda direttamente dal centro della terra. Ma tra noi c’è solo un sub, impossibile anche solo pensare di lanciarci in questa avventura.
Ripartiti alla volta di Glaumbær, impieghiamo circa un’oretta per raggiungere la fattoria museo. Quando arriviamo però ci accorgiamo di aver calcolato male i tempi e il sito è oramai chiuso. Ci siamo crogiolati troppo al sole, sorseggiando un caffè, e a lungo ci siamo beati delle balene avvistate e del giorno trascorso. Ci accontentiamo di minuziose descrizioni degli interni di queste case di torba, che si trovano un po’ ovunque su libri e guide, e del racconto di come fosse organizzata la vita in queste piccole comunità islandesi fino alla metà del secolo scorso.

Intanto immaginiamo una giovane donna, appena ventenne, partire da un posto molto simile a questo per andare a Oxford a fare la tata nella famiglia di un professore di letteratura medievale, all’epoca ancora sconosciuto che, per intrattenere il figlio, sta scrivendo un libro intitolato Lo Hobbit. La bambinaia parla la lingua degli elfi e racconta fiabe in cui compaiono mostri, troll, vulcani e casali di torba, mentre probabilmente J.R.R. Tolkien rimane fuori dalla camera dei figli ad ascoltare.
E allora ci sembra inevitabile che la casa di Bilbo Baggins non assomigli a queste case che appaiono quasi scavate nella terra, con una piccola porta di ingresso, e rare finestre per evitare la dispersione del calore.
La sera da Sauðárkrókur godiamo di un lunghissimo tramonto sullo Skagafjörður. Sull’orizzonte rosso si intravede il profilo di un’isola lontana, mentre uno spicchio di luna si accende nella sua vana rincorsa di un sole morente.
Il cielo quasi scompare e il cuore affonda. Gli occhi restano immobili, come fossero a galla, incapaci di voltarsi altrove.

1 Comment

  • A Skye c’è tutta l’Europa – Polpette d'Orso 27/09/2023 at 17:10

    […] midges, e snobbato le raccomandazioni di munirsi di sciarpe per collo e viso, perché in fondo anche lo scorso anno, in Islanda sul lago Mývatn, alla fine non si erano visti affatto; ma questi sono reali, sembrano furie indiavolate, sono […]

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