Lago si dice LOCH

È la prima cosa che percepiamo di questa terra: l’immanente presenza di laghi, che ne condiziona il paesaggio, le strade, le cittadine, la posizione dei castelli e gli scorci romantici fatti di incredibili riflessi. Sono più di 30.000 disseminati in ogni dove sulla terra scozzese e si chiamano appunto loch, oppure lochan, se di piccole dimensioni.

Ma andiamo con ordine. Dopo la prima notte in un hotel nei pressi dell’aeroporto internazionale di Glasgow, alle 7.00 di mattina ritiriamo l’auto a noleggio e, fatta la giusta quantità di training autogeno, indotto dall’adesivo posto sul parabrezza, che produce sgomento e obbliga a violente modificazioni psichiche, preannunciando disastrose rotonde e irrisolvibili enigmi a ogni incrocio, siamo pronti a partire per le Highlands.

Appena oltrepassato il limite più a nord mai posto dai romani al loro impero presso il Vallo Antonino, il paesaggio si fa immediatamente più selvaggio e affascinante, e il Loch Lomond (“lago ricco di isole”) si apre davanti ai nostri occhi discreto e silenzioso.
Come la maggior parte dei laghi scozzesi, ha origine dallo scioglimento e dall’erosione dei ghiacciai, ma la consapevolezza di ciò non è comunque sufficiente a immaginarne le dimensioni oltre le colline, che degradano dolcemente sulle sue sponde, oltre le isolette, che galleggiano come gigantesche foglie di ninfee sulla sua superficie, e le insenature, che ne rendono ancor più frastagliato il perimetro.
Si gode di un’inaspettata pace sulle sponde meridionali di questo lago, che oltre a essere la lingua di acqua dolce più grande di tutta la Gran Bretagna, è anche il polmone verde di Glasgow e il luogo in cui i suoi abitanti praticano molti sport.

Il panorama è incantevole e l’acqua immobile offre alle nuvole la possibilità di specchiarsi in tutta la loro superba tridimensionalità. È il momento giusto per rimettere in funzione il drone e alzare la nostra linea dell’orizzonte.

Dopo una breve sosta per un tramezzino e un caffè, percorriamo la sponda occidentale del Loch Lomond per raggiungere Luss, un villaggio molto carino e ben curato il cui nome in gaelico vuol dire “erbe”, quelle stesse che furono utilizzate per imbalsamare il monaco e santo irlandese Kessog, che qui fu martirizzato e sepolto. Per le sue viuzze, fiaccheggiate da pittoreschi cottage in arenaria e ardesia, adorni di fiori rampicanti e uccellini in gabbia posti davanti alle porte, sciamano orde di turisti diretti al negozietto di souvenir. Il loro ronzio fa da sfondo all’atmosfera fiabesca narrata dalla guida turistica e preannuncia un’inevitabile gentrification. Ci rimettiamo in macchina per addentrarci nell’autentico paesaggio delle Highlands e raggiungiamo l’estremità settentrionale del Loch Awe. Il cielo si è un po’ coperto e il vento increspa la superficie di questa stretta lingua d’acqua. Dalla sponda meridionale, il viewpoint all’interno di un pascolo di pecore offre un panorama tra i più frequenti dei libri fotografici sulla Scozia, quello sul Kilchurn Castle. È appena un rudere, ma si possono ancora distinguere l’alta torre di guardia e la corte fortificata di quello che fu un castello nel XV Secolo, e che il tempo oggi ci restituisce in questa sua  romantica veste. Ci avviciniamo percorrendo la strada che porta al castello, e dopo aver fatto un lungo giro attorno ai suoi muri perimetrali, oramai esausti ci avviamo verso Glencoe, dove abbiamo prenotato una stanza in un hotel, che allo stesso tempo fa anche da distilleria. La valle (glen vuol dire appunto valle in gaelico) è superba nel suo verde vellutato cosparso del fucsia dell’erica purpurea, incuneata tra montagne le cui cime sono avvolte dalle nubi. La luce dolce della sera ci spinge a fare ancora due passi fino al piccolo villaggio, nei cui lodge le persone sono gia sedute attorno alla tavola e, attraverso le finestre aperte, arriva fino a noi, quasi indistinto, solo il rumore di piatti e il suono di miti conversazioni estive.

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