Oltrepassati i circa 500 metri dello Skye Bridge, approdiamo a Plockton, un porticciolo delizioso baciato dal sole del mattino, ai piedi di un castello. La spiaggia, ricoperta di alghe e gusci di conchiglie, è testimone di frequenti maree, e le piccole isole, che emergono nella baia poco distanti dalla costa, sembrano quasi aspettare il momento giusto per ricongiungersi ad essa. La luce è intensa e brillante e la temperatura piacevole. Decidiamo di rimanere a curiosare tra le incantevoli casette del villaggio. In una di queste scopriamo una piccola distilleria artigianale di gin, ed entriamo per assaggiare qualcosa. Ma riprendiamo presto la strada.
Siamo nel Wester Ross, la parte di costa tra Kyle of Localsh e Ullapool: quintessenza dei paesaggi del litorale nord occidentale, fatto di strade tortuose immerse in una natura selvaggia, a tratti a strapiombo su una costa frastagliata, e spesso lungo margini di vaste torbiere disabitate. Abbiamo aspettative altissime, soprattutto per il pezzo di North Coast 500 che abbiamo intenzione di percorrere prima di arrivare a Inverness.
Ma prima di tutto, a pochi chilometri da qui, c’è il castello di Eilean Donan. Uno dei più fotografati della Scozia, grazie anche alla notorietà che gli hanno dato film come “Highlander – L’ultimo immortale” e “Il mondo non basta” (1999) della saga di James Bond.Anche in questo caso la torre medievale e le mura merlate svettano su un’isoletta, collegata da un ponte di pietra suggestivo e unico nel suo genere e, come la maggior parte dei castelli medievali (questo risale alla prima metà del XIII Secolo), è composto da più edifici disposti attorno a un cortile centrale. È esattamente come uno di quei castelli che si immaginano da bambini, in cui sono ambientate storie di cavalieri e valorosi guerrieri. È proprio questo suo aspetto fiabesco ad aver ispirato nel 2012, i disegnatori della Disney Pixar Animation, che hanno scelto di ambientare qui le vicende di “Brave”, la storia di una giovane principessa ribelle, insofferente alle regole e ai doveri dei reali. Ma le cose in comune con il castello visitato il giorno prima a Skye vanno anche oltre il suo aspetto esteriore. C’è un motto proprio sul portone principale di ingresso: “Fintanto che ci sarà un MacRae dentro, non ci sarà mai un Fraser fuori”, a ricordo della consolidata alleanza tra i due clan, e poi nelle sale una teca espone una nuova ciocca di capelli di Bonnie Prince Charlie; tutta questa passione feticistica per riccioli autentici è giustificabile solo in un’epoca in cui si portavano orribili parrucche.
Il castello è stato oggetto di grossi restauri a partire dal 1912, ma alcune cose sono rimaste autentiche, come l’orecchio del padrone, un sistema di spioncini nascosti tra le mura del salone principale, che consentivano di ascoltare e osservare non visti gli ospiti del castello. Altre sono aggiunte e modifiche recenti quali ad esempio le incisioni in pietra sparse sulle pareti, tutte opere di Alexander Carrick, importante artista dell’Accademia d’Arte di Edimburgo alla metà del secolo scorso.
Ma, poiché l’Eilean Donan è stato coinvolto nelle rivolte giacobite, le mirabilia, il tesoro autentico che il castello custodisce, sono tutte esposte nella vetrinetta giacobita: oltre ai capelli del Giovane Pretendente, c’è il pezzo di stoffa di un suo abito, 3 mestoli con cui beveva il toddy (whisky caldo), 2 fibbie per scarpe, ritrovate sul campo di battaglia di Culloden nel 1746, e una lettera datata agosto 1745, in cui il principe Carlo chiede ai capi clan di sostenere la sua causa. C’è anche una medaglia che riporta le parole “Carolus Walliæ Princeps” a ricordarci che già nel XVIII Secolo l’erede al trono era Principe del Galles, come oggi lo è William, figlio primogenito di re Carlo III, destinato a diventare il futuro reggente.
Attraverso stanze arredate di tutto punto, in cui sono posti mobili e quadri appartenenti a epoche diverse di cui a fatica se ne capisce il criterio e il gusto espositivo, si arriva nelle cucine in cui la ricerca ossessiva della ricostruzione fedele e realistica degli ambienti e dei dettagli arriva a imporre perfino la presenza di inquietanti diorami. L’amore per questi manichini qui, è ancora più esasperata dal voler ricreare situazioni ed espressioni dei visi, che non nascondono un infantilismo e un’ingenuità che suscita quasi tenerezza. Dopo qualche timido tentativo di comprendere anche l’interesse per l’araldica locale, fatta di scudi in cui si inseriscono leoni, stelle e mezze lune, facciamo un giro intorno al castello per ammirarne i resti medievali e ripartiamo per la costa.Nelle prime ore del pomeriggio i panorami del Wester Ross sono straordinari: il mare riflette la luce morbida di un sole boreale di fine estate, mentre la strada corre su scogliere che si ergono da spiagge dorate. La luce limpida permette di vedere fino alle Ebridi a ovest e alle spettacolari montagne oltre gli immancabili lochs a est, in un’esplosione piena di colori. Zigzagando tra placide pecore, proviamo a raggiungere il Rua Reidh Lighthouse, un faro in capo al mondo a circa 5 chilometri a nord di Melvaig. Ma ci spaventa il cartello posto all’inizio di un’irta salita che ci avvisa che la strada si restringe ulteriormente e che la larghezza massima dei veicoli consentiti è, a spanne, quella della nostra auto a noleggio, comoda e spaziosa, ma mostruosa per queste trazzere (eh già, perche le trazzere esistono anche al di fuori della Sicilia).
L’esperienza sull’isola di Skye e l’avviso di non percorrerla al buio ci scoraggiano fortemente e decidiamo di rinunciare. Rientrati a Gairloch aspettiamo il tramonto sulla spiaggia sotto la chiesetta di pietra, osservando le sue vetrate che, nel riverbero degli ultimi raggi del sole, sembrano donare pace ed esprimere grandiosità in questa incommensurabile bellezza. Il mattino dopo ripartiamo per percorrere un altro pezzo di questa affascinante strada costiera. Oltrepassata Poolewe ci affacciamo sul Loch Ewe e scorgiamo dei moli di rifornimento poco distanti dalla costa. Scendiamo a curiosare e ci imbattiamo nell’affascinante storia di questo posto, considerato “rifugio sicuro” durante la Seconda Guerra Mondiale.Loch Ewe e la sua gente hanno avuto infatti un ruolo fondamentale negli anni tra il 1941 e il 1944: questa stretta insenatura era una delle basi per i convogli artici e da qui partivano forniture essenziali per la Russia dilaniata dalla guerra, lungo una rotta descritta da Winston Churchill come il “peggior viaggio del mondo”. Loch Ewe è un lago profondo e il suo accesso diretto all’Oceano Atlantico lo ha reso un luogo perfetto per ancorare fino a novantacinque navi mercantili e della Royal Navy.Le navi erano protette da cannoni antiaerei situati in siti scelti attorno al lago, le squadre militari e la popolazione pattugliavano la costa e una “rete di blocco” si estendeva all’ingresso del lago per intrappolare e successivamente distruggere eventuali sottomarini, e infine palloni di sbarramento difendevano il cielo dagli attacchi di bombardieri tedeschi. È spaventoso pensare come quella guerra avesse potuto raggiungere perfino un posto così remoto, tanto quanto è impensabile oggi credere di poter rimanere ai margini di eventi che hanno una così ampia portata sul piano politico e sociale, semplicemente sospendendo il trattato di Schengen, per sentirci più sicuri entro i confini che noi stessi ci siamo creati.
Poco oltre ci fermiamo ancora per una sosta su una spiaggia incantevole di sabbia bianca e la sensazione di straniamento è assoluta. La percezione di essere in un posto altro, un luogo che non ti aspetti, ci investe in maniera completa e totalizzante. Se non fosse per gli abiti che indossiamo, potremmo pensare di essere su una di quelle isole che si affastellano lungo il Tropico del Cancro, una trentina paralleli più a sud. L’acqua è trasparente ed è possibile scorgere perfino meduse alla deriva. A malincuore riprendiamo la strada verso le Measach Falls.
Ma quella che compare davanti ai nostri occhi non potrebbe neanche definirsi cascata in Islanda, perché sebbene la stretta gola sia di origine glaciale e il salto dell’acqua di circa 40 metri, la portata e la dimensione del suo palco sono veramente irrisorie. Rimaniamo abbastanza delusi della vista dal ponte sospeso, attraverso la folta vegetazione. Intanto ha cominciato a piovigginare e decidiamo di avviarci verso Ullapool, il punto più a nord di questo nostro viaggio in Scozia.
È una cittadina graziosa, fatta di casette bianche e moli di approdo per i traghetti diretti alle Ebridi, qualche negozietto di souvenir e poco altro. Meglio virare verso sud est e dirigerci verso Drumnadrochit e il Loch Ness.
Tutto questo nostro temporeggiare: il cambiare percorso per raggiungere un inaspettato faro segnalato sulla mappa, il dedicare alle soste spesso più tempo del previsto, l’armare le lenti giuste per la perfetta inquadratura fotografica e liberare in aria il drone ci porta spesso a mancare gli appuntamenti.
Quello con il castello di Urquhart è da annoverare tra i nostri maggiori epic fail, a riprova del fatto che i giorni trascorsi tra Glefinnan e l’isola di Skye non ci hanno poi scalfito affatto.
Riusciamo comunque ad arrivare circa 40 minuti prima che il castello chiuda, ma il parcheggio è pieno e il posto più vicino per lasciare l’auto dista 35 minuti a piedi. Restiamo sulla strada ad ammirare il torrione ancora in piedi e le rovine, rimaste tali dalla fine delle rivolte giacobite, ma le inquadrature con lo sfondo del lago più famoso del mondo sono perfette. Anche in una bella giornata come questa non c’è alcun riflesso, perché le acque del Loch Ness sono nere di torba, limo e fango. Infatti il lago, che ha origine da un’eruzione vulcanica, è in alcuni punti perfino più profondo del Mare del Nord, arrivando fino a 230 metri. Se a questo poi si aggiunge che spesso qui il cielo è grigio e carico di pioggia rendendo difficile la visibilità, è ovvio pensare che fosse questo, e nessun altro, il posto ideale per dar vita alla leggenda di Nessie, una bestia acquatica della famiglia dei plesiosauri dal lungo corpo sinuoso che nuota in queste acque e saltuariamente emerge, per mostrare il suo lato migliore ai fotografi assiepati sulle sponde del lago. Sono 90 anni che la presunta esistenza del mostro ravviva il turismo su questo lago, da quando nel 1933 il Daily Mail pubblicò una foto scattata da un certo Mr Wilson, un chirurgo londinese in vacanza in Scozia. Nel 1962 il Loch Ness Ivestigation Bureau scandagliò il lago con strumenti sofisticati alla ricerca della famigerata creatura. In ogni caso, nonostante la mancanza di concreti avvistamenti da parte dello specifico dipartimento, la rivelazione della beffa dei burloni del Daily Mail, le spiegazioni scientifiche che attribuirebbero la comparsa di mostri al galleggiamento di tronchi degli alberi che circondano il lago e che, una volta decomposti, salirebbero per un breve tempo in superfice per poi rimmergersi, nonostante la tesi dimostrata che la differenza di temperatura tra la massa d’aria e la superficie dell’acqua provochi una percezione distorta degli oggetti in superficie, sebbene sia lampante che l’acqua di un lago così profondo sia troppo fredda per permettere la sopravvivenza di qualsiasi rettile, e infine nonostante non trovi risposta la domanda più significativa: ma quanti anni ha oggi Nessi??? Nonostante tutto ciò anche quest’estate è partita una nuova ricerca del leggendario mostro, di cui è stata data notizia anche sui giornali italiani.
Acquistiamo souvenir come se non ci fossero più negozi di cianfrusaglie in tutta la Scozia e ripariamo per Inverness, la capitale delle Highlands, che è posta proprio sull’estremità settentrionale del Loch Ness e del Canale di Caledonia.
La sera, dopo cena, passeggiamo tra i palazzi medievali lungo le sponde del Ness, per contare le numerose chiese che si succedono ora su un lato ora sull’altro, ora cattoliche ora anglicane, e per ammirare nelle vetrine e, poter così sognare di possedere anche noi plaid, tartan, calze, scarpe con fibbie e splendidi sporran di tutti i tipi. Come degli autentici highlanders.
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