Chi vinse a Culloden?

Inverness, oltre che la capitale delle Highlands è anche il fulcro delle vicende narrate da Shakespeare in Macbeth e, su una collina poco fuori dalla città, si erge il Cawdor Castle, quello il cui titolo di conte, è sufficiente ad accendere nel superbo condottiero il fatale desiderio di diventare re e uccidere Duncan. I cancelli aprono al pubblico alle 10.00, ma abbiamo prenotato la visita della distilleria Glenlivet alle 11.30. Proviamo a non sfidare, almeno oggi, la fortuna e le strade della Scozia. Proseguiamo lungo la brughiera, quella stessa in cui le 3 streghe incontrarono Macbeth e lo salutarono apostrofandolo prima come sire di Glamis, titolo che egli già possedeva, poi come sire di Cawdor, proprio il titolo che il re gli concederà a breve per le vittorie che riporterà nell’imminente battaglia, e infine come re, lasciandogli presagire il suo destino glorioso, ma sanguinario. Il sole è già alto su questa fertile vallata, e non c’è traccia di quella romantica magia di mondi spettrali avvolti dalla nebbia, che permise al Bardo di ambientare qui incontri fortuiti e storie di lusinghiere profezie pronunciate da esseri soprannaturali.Ci dirigiamo invece verso Culloden Moor, teatro nell’aprile del 1746, dell’ultima grande battaglia mai combattuta sul suolo britannico. Su questa ampia distesa pianeggiante sono state piantate delle bandiere rosse, per indicare la posizione dell’esercito inglese guidato dal duca di Cumberland, e delle bandiere blu per la posizione delle truppe giacobite, inferiori per numero e mal organizzate.

Questi spazi aperti, su cui gli highlander ripiegarono dopo l’avventata marcia verso Londra voluta dall’incauto Bonnie Prince Charlie, non erano adatti al loro modo di combattere, coraggiosi sì, ma privi della coordinazione e della disciplina di un vero esercito, e ne decretarono la definitiva sconfitta. Su questa pianura immensa si infransero per sempre i sogni di tutti quegli uomini che avevano lasciato il lavoro nei campi per tornare a essere guerrieri e inseguire un sogno di gloria, che privi di tattica si erano lanciati urlanti contri i nemici, impugnando solo asce e spade, che desiderosi di liberarsi della tirannia aspiravano a porre un re scozzese sul trono dell’isola.
Durante la battaglia le linee giacobite si divisero quasi immediatamente sotto il tiro dell’artiglieria pesante che l’esercito inglese dispose in campo; inoltre il terreno acquitrinoso rendeva difficili i movimenti degli scozzesi che si spostavano a piedi e, di contro, facilitava gli attacchi della cavalleria inglese. Le perdite furono ingenti e gli highlander superstiti furono inseguiti anche nei giorni successivi oltre la brughiera per ogni villaggio o valle, e chiunque li avesse ospitati fu massacrato e ucciso a sua volta. Tra i pochi sopravvissuti, il principe riuscì a sfuggire alla cattura, e dopo essersi nascosto per alcuni mesi sull’isola di Skye, si imbarcò per la Francia e da lì per Roma, dove visse tristemente il resto dei suoi giorni, senza mai più far ritorno in Scozia.
Culloden fu un’enorme mattanza, la Scozia ne uscì sconfitta e umiliata, la cultura delle Highlands distrutta per sempre. Fu proibito indossare il tartan, portare armi e suonare la cornamusa; i capi clan furono espropriati delle loro terre e l’intero sistema organizzativo fu smantellato. Il diffondersi dell’allevamento ovino estensivo fece il resto, spopolando le campagne e costringendo i coloni a improvvisarsi pescatori da un giorno all’altro o, in alternativa, a emigrare oltreoceano, definendo così per sempre il caratteristico spopolamento di questa regione e la splendida desolazione delle Highlands, in cui ancora oggi ci sono più pecore che uomini. Recuperare tutti i dettagli di quella battaglia richiederebbe moltissimo tempo e abbiamo da percorrere circa 50 miglia prima di arrivare alla Distilleria Glenlivet. Stiamo cominciando a sviluppare un’insana apprensione quando c’è da mettersi in strada, e così ripartiamo prima che il sole rimpicciolisca del tutto le nostre ombre e sveli l’immane e struggente bellezza di questa immensa pianura.
Lasciamo che il paesaggio selvaggio dello Speyside scorra velocemente davanti ai nostri occhi oltre i finestrini dell’auto, e proviamo a immaginare ora questo come il campo di battaglia di illecite distillerie. Quest’area era infatti abitata per lo più da contrabbandieri, che producevano e distillavano whisky nella più totale illegalità.
Nel 1822 quando Re Giorgio IV, ospite di Sir Walter Scott, assaggiò questa bevanda, un single malt morbido ed equilibrato prodotto da George Smith, il fondatore della distilleria Glenlivet, si innescò la scintilla che portò l’anno successivo all’Excise Act, con cui si legalizzò la produzione del whisky e, regolarizzandone il mercato, si impose l’acquisto di una licenza e il pagamento di una imposta per ogni gallone distillato. Si pose fine così al contrabbando, ma non alle rivalità, agli agguati, agli assasinii e ai fortuiti incendi.

Lo Speyside che visitiamo e l’ampia disponibilità di whisky a cui possiamo accedere oggi ha quindi 200 anni esatti. L’Excise Act del 18 luglio del 1823 ha reso questa piccola area, stretta tra le Highlands e l’Aberdeenshire, quella con il PIL pro-capite più alto di tutta la Gran Bretagna. E poi l’acqua di questa zona, che ha un bassissimo livello di minerali disciolti, la passione dei produttori e la ricercatezza degli ingredienti pregiati usati hanno fatto il resto, rendendo questa bevanda tra le più apprezzate nel mondo, tanto che oggi il whisky è considerato un “pleasure asset”, ossia un investimento legato a piaceri, interessi e passioni personali, il cui valore è cresciuto negli ultimi 10 anni di oltre il 350%.
Nonostante negli ultimi 2 decenni in diversi paesi asiatici, tra cui Taiwan e Giappone, siano nate nuove e pregevoli distillerie per soddisfare il fabbisogno dell’emergente mercato locale, il primo produttore di whisky al mondo resta la Scozia, il paese di cui è originario lo Scotch, la cui qualità e metodo di distillazione sono prescritti dallo Scotch Whisky Act.

Anche nella vicina Irlanda, paese in cui il nome della bevanda assume una “e” in più, definendosi  “Irish Whiskey” l’invecchiamento avviene in botti che abbiano prima contenuto Bourbon o Sherry, ma mentre nell’isola di smeraldo la bevanda viene distillata 3 volte, qui in Scozia solo 2 volte.
Inoltre il whisky prodotto aldilà dell’Oceano, seppur introdotto fin dal XVIII Secolo da immigrati scozzesi e irlandesi, è ottenuto da miscele di mais e segale, i cereali maggiormente presenti sulle vaste aree degli Stati Uniti, e non da orzo e frumento come avviene qui.

L’odore forte e inebriante che permea le nostre narici durante il tour nella distilleria di Glenlivet prima e in quella di Strathisla poi, sa di legno e caramello e si confonde, nel momento della degustazione, con il sapore alcolico che pizzica leggermente la lingua e lascia al palato un sentore di torba e sale. Fuori dalla Strathisla, ci voltiamo ancora una volta a osservare i tetti spioventi a forma di pagoda e i muri intrisi dei vapori dell’alcol, e un cartello posto proprio al suo ingresso ci ricorda che questa è la più antica distilleria delle Highlands, un gioiello del 1786, nata qui 40 anni dopo la battaglia di Culloden.

Riprendiamo la strada verso est perché prima di arrivare ad Aberdeen vogliamo visitare le rovine dello Slains Castle a Cruden Bay, un imponente rudere in granito rosa assai vasto che annovera tra i suoi resti un labirinto di sale e torri a cielo aperto, e per buona parte del suo perimetro esterno si sporge a strapiombo su uno sperone di roccia. È un posto ventoso, incantevole e selvaggio, prima ancora che il luogo che ha ispirato Bram Stoker a scrivere Dracula.

Il panorama è incredibile, mare a perdita d’occhio oltre la schiuma bianca che circonda gli scogli ai piedi del promontorio, mare fino all’orizzonte, lì dove il suo profilo si congiunge all’azzurro tenue di un cielo orientale al tramonto. La sera ad Aberdeen è da steak house e birra.

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