Esiste una pietra per incoronarli

L’area attorno ad Aberdeen, la zona nord orientale della Scozia, è quella con una maggiore concentrazione di castelli e palazzi ricchi di storia, teatro di vicende importanti, culla di personaggi fondamentali in questa parte di mondo. La loro evoluzione architettonica segue le vicende storiche del Paese, passando da semplici torrioni su colline e punti strategici posti a difesa di passaggi e corsi d’acqua, fino ad arrivare ai castelli rinascimentali, fastose residenze prive di qualsiasi uso militare.
Considerata proprio la loro numerosità, dobbiamo accontentarci di un giro veloce, in una pigra e assolata domenica mattina, in una Aberdeen grigia di granito in stile neoclassico e neogotico che, grazie alle sue gallerie d’arte, ai centri culturali e alla prestigiosa università, ovunque sembra sorridere della sua recente fortuna e prosperità dovute alla scoperta del petrolio nel Mare del Nord.

Ci dirigiamo verso sud, lasciandoci alle spalle le vallate boscose, le montagne e le scogliere spettacolari a strapiombo sul mare. Ma c’è ancora un promontorio, molto scenografico, su cui sorge arroccato, un castello di straordinario fascino e romanticismo: è quella la nostra prossima meta. Il Dunnottar Castle, circondato per tre lati dal mare, è uno dei più suggestivi della Scozia, e prima di essere scelto dal regista Franco Zeffirelli per la sua versione cinematografica dell’Amleto, quello con Mel Gibson e Glenn Close, fu segnato da vicende di sangue e guerra. Alla fine del XIII secolo, durante le lotte di indipendenza, fu dato alle fiamme da William Wallace, per uccidere l’intera guarnigione inglese che ospitava, e nel XVII secolo fu la scena di uno degli episodi più agghiaccianti perpetrato ai danni dei Covenanters (in estrema semplificazione i sostenitori della chiesa presbiteriana, che si opponevano all’imposizione del rito anglicano). Nelle sue stanze furono inoltre custoditi il tesoro e le insegne regali di Scozia, oggi esposti nel castello di Edimburgo.
I panorami sul mare sono incredibili e il luogo sembra uscito da un romanzo di fantasia; si capisce perché sia meta di centinaia di migliaia di visitatori ogni anno. La scogliera di 50 metri è un tutt’uno con le sue mura perimetrali e contribuisce ad accrescere l’aspetto maestoso e drammatico del castello. Ci allontaniamo con dispiacere da questo luogo, che nella sua inaspettata bellezza infonde pace e pienezza, nonostante il furioso sciabordio delle onde mosse dal vento. Poco più di 40 miglia più a sud c’è il Glamis Clastle, splendido edificio in arenaria rosa, completo di guglie sormontate da cappelli di fate. È quasi interamente visitabile al suo interno, nonostante vi risieda ancora l’attuale conte Bowes-Lyon, il 19esimo della dinastia. La famiglia a cui appartiene questa splendida dimora è quella della regina madre, Elizabeth Angela Marguerite Bowes-Lyon (figlia del 14esimo conte), moglie di re Giorgio VI, padre di Elisabetta II. Qui nacque anche la principessa Margaret nel 1930.Ma a ricordarci che siamo pur sempre in Scozia il soffitto in gesso della sala da pranzo è caratterizzato dalla presenza, accanto alle rose d’Inghilterra, dei cardi, il fiore simbolo di questo Paese, che rappresenta l’irriducibilità e la libertà del suo popolo.
Sulle pareti si affiancano ritratti dei conti Bowes-Lyon, che quasi in una trasposizione da albero genealogico ricostruiscono la discendenza da parte di madre, della defunta Regina Elisabetta II.
Nell grande sala ancora lo stemma risalente al 1603, posto sul maestoso camino che vede rose e cardi intrecciati, nel momento in cui Giacomo VI, figlio di Maria Stuarda, unificò le corone di Scozia e Inghilterra divenendo Re Giacomo I. Alla destra del camino, ci sono le sedioline su cui le piccole Elisabetta e Margaret amavano sedersi quando erano in questo splendido castello in visita dai nonni. Questo continuo andare da un passato molto remoto a uno molto recente ci affascina, ma confonde anche un po’ la nostra bussola del tempo, che continua ad oscillare agitata sul quadrante degli ultimi 5 secoli di storia.
Si narra inoltre, che questa sia ancora oggi la dimora di diversi fantasmi: la “Dama in Grigio”, una donna accusata di stregoneria e arsa sul rogo, il lord di Glamis imprigionato in una stanza segreta mentre giocava a carte col diavolo di domenica, giorno in cui era proibito farlo, e poi ancora di un fantomatico paggio che, seduto su un piccolo sedile di pietra, porrebbe lo sgambetto nel passaggio che porta agli appartamenti reali, quelli in cui erano ospiti Re Giorgio VI e la Regina Elisabetta.
Questo castello è un intrico labirintico: corridoi stretti e soffocanti, aperture anguste, grandi sale dispersive, botole, scale ripide, stanze in angoli ciechi, torri all’apparenza inaccessibili e feritoie inattese; è divertente pensare a come la giovane Elisabetta II trascorresse le sue estati con la sorella Margaret alla ricerca di aree segrete e sfuggendo a rumori improvvisi, squittii di topi, lucertole striscianti e agitati voli di piccioni, immaginando, perché no, qualcosa o qualcuno di sinistro tra le crepe dei muri e nelle segrete in cui furono lasciate morire di fame e di freddo decine di prigionieri nel corso dei secoli.
Ma Glamis è anche il luogo di cui era signore, dopo l’uccisione di Malcolm II,  Macbeth, re di Scozia tra il 1040 e il 1057, e ci piace pensare che le pareti di queste sale abbiano assistito agli intrighi di Lady Macbeth e ai tormenti dell’insicuro e succube tiranno, così come ce li racconta Shakespeare.

Ma Macbeth era nato a Scone, la prima capitale della Scozia unita. È lì che siamo diretti, per visitare lo Scone Palace, splendido palazzo, che un tempo ospitava la Stone of Destiny, oggi anch’essa nel castello di Edimburgo, e ancora utilizzata per l’incoronazione dei sovrani britannici. Anche il trono di Carlo III, lo scorso 6 maggio, poggiava su questa pietra.Incredibile la vicenda attorno al suo furto, avvenuto nel Natale del 1950, quando 4 giovani studenti scozzesi la trafugarono dall’abbazia di Westminster intenzionati a restituirla alla Scozia. La fecero ritrovare poi, qualche mese più tardi, sull’altare dell’abbazia di Arbroath, luogo dal forte significato simbolico, poiché è il sito in cui fu firmata nel 1320 la dichiarazione di indipendenza: redatta in un fluente latino, quasi certamente dal cancelliere di Re Robert Bruce, forniva un’interpretazione fantastica, immaginaria, quasi visionaria e mistica dell’origine degli scozzesi, un popolo che trova nel volere di Dio un destino da compiere e la ragione stessa del suo essere nazione libera. Arbroath è poco distante da qui, 40 miglia a nord est, e i resti della sua abbazia in arenaria rossa sarebbero un compendio necessario a questa storia, ma purtroppo è già quasi l’ora del tramonto quando terminiamo il giro delle stanze dello Scone Palace. La sontuosa sala da pranzo in cui furono ospitati la regina Vittoria e il Principe Alberto nel 1842 e il racconto prolisso e prolifico di dettagli che ne fa una signora addetta alla cura e alla sorveglianza degli addobbi posti sulla grande tavola ci disorientano, non riusciamo più a capire da che parte stiano gli scozzesi di questa zona, forse ricchi proprietari terrieri erano leali al re d’Inghilterra, forse, perché le vicende storiche di questo Paese restano comunque non del tutto chiare, e le intenzioni della sua gente spesso mutevoli e altalenanti. Poi la Long Gallery, con i suoi 45 metri di lunghezza, era un luogo in cui si praticava il curling in inverno. E infine nella sala dell’ambasciatore un quadro in particolare attira la nostra attenzione: il ritratto di Dido Elizabeth Belle e Lady Elizabeth Murray, due ragazze in splendidi abiti del XVIII secolo. Si tratta di due cugine che crebbero assieme nella splendida cornice di questo palazzo: la prima, figlia di Sir John Lindsay, ufficiale di marina britannico e di una schiava nera, nata nelle Indie Occidentali Britanniche e l’altra, figlia del conte di Mansfield, David Murray, e di una contessa polacca, nata a Varsavia. Scopriamo dalle varie didascalie che esiste un film su questa storia e ci riproponiamo di vederlo, non appena rientrati in Italia. Sa di segregazione razziale e di rivendicazioni femministe, temi oggi sempre più frequenti, nel dibattito internazionale.

Rimaniamo ancora un po’ ad ammirare il palazzo da fuori, la sua arenaria rossa in stile gotico con tetto a castelletto, e il verde del prato su cui passeggiano diversi pavoni incuranti dei turisti. Attorno a noi le querce sono quelle utilizzate per costruire il parlamento scozzese di Holyrood a Edimburgo, e ne aspiriamo a fondo l’odore della sua resina, come a volerci trasporre fin lì.

La sera soggiorniamo a Dundee, una cittadina portuale sul Mare del Nord, 65 miglia a sud di Aberdeen, in un hotel proprio nei pressi del V&A Museum che, con le sue moderne piramidi capovolte, offre riparo alla nave Discovery, un grandioso veliero a tre alberi, munito di motore a vapore, costruito proprio nei cantieri di Dundee, e protagonista della prima missione esplorativa britannica diretta verso le regioni antartiche. È domenica, e per cena proviamo a mangiare qualcosa di diverso, un bel piatto di mac&cheese, per interrompere la monotonia degli hamburger, che da una settimana oramai riempiono i nostri piatti e i nostri stomaci.

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