In piedi sulla più grande caldera del mondo

Ci sono luoghi in cui le molteplici narrazioni che compongono la storia degli Stati Uniti si accumulano, e nel loro accatastarsi succede sempre che una di queste finisca per prevalere sulle altre, lasciando solo intravedere le contraddizioni e le dinamiche profonde sottostanti alla cultura, alla società e alla politica di questo Paese.
I parchi nazionali, e lo Yellowstone più in particolare, sono uno degli esempi più evidenti di questo fenomeno.
Ci raccontano la storia di un popolo innamorato della natura selvaggia, intento a preservarla e proteggerla, tacendo sul fatto che poco oltre, nello stesso stato, viene ampiamente sfruttata la più grande miniera di carbone del Nord America, da cui si estrae annualmente circa il 40% dell’intera produzione statunitense.
Esaltano la figura di uomini coraggiosi e impavidi, ora cacciatori ed esploratori, poi pionieri e coloni, a cui viene sottratto ogni elemento di umanizzazione, quali sentimenti di solitudine, nostalgia, paura, e di contro accantonano, quasi cancellano, le storie e le vite dei popoli ancestrali, che abitavano queste terre ben prima che loro arrivassero.
Ci mostrano un arco alto più di 15 metri eretto in ricordo di Theodore Roosevelt, elevato poi a simbolo di tutti i parchi nazionali per la dedica che il presedente volle fosse riportata, in alto e ben visibile a tutti i visitatori: “For the benefit and enjoyment of the people”, ma il mito di quest’uomo, tende tuttora a nascondere le sue idee e posizioni riguardo ai nativi americani, nei confronti dei quali si espresse più o meno con queste parole:

“Non arrivo al punto di pensare che gli unici indiani buoni siano gli indiani morti, ma credo che sia vero per nove su dieci di loro, e preferirei non indagare troppo a fondo sul decimo”

o anche

“Il cowboy più malvagio ha più principi morali di un indiano medio”.

Ma l’esplorazione dell’ovest selvaggio, l’oltrepassare la frontiera assieme ai racconti leggendari di uomini eroici sono alla base della creazione di una narrazione mitologica americana, di un’ideologia che diventa riferimento culturale e sociale. Fatti, persone ed eventi centrali nella storia dei nativi sono stati privati del loro valore originario e hanno finito per alimentare il mito stesso della conquista dell’ovest.
Questi luoghi, abitati da sempre da popoli indigeni oggi conosciuti come Blackfeet, Crow, Eastern Shoshone, Shoshone-Bannock, Salish, Kootenai e Nez Perce, all’inizio del XIX Secolo vennero depredati dai cacciatori, interessati alla svariata quantità di animali da pelliccia, ma non solo. All’epoca la mentalità coloniale vedeva in ogni cosa, in qualsiasi entità naturale, una mera risorsa da cui ottenere il massimo rendimento: le montagne erano minerali da estrarre, le valli pascoli per le mandrie, i boschi e le foreste riserve di legname, e i fiumi e i mari fonti inesauribili di cibo. Fu solo dopo la Guerra Civile che, durante una spedizione esplorativa partita dal Montana e nel corso di una conversazione davanti al fuoco da campo, è nata, secondo la leggenda, l’idea che questi posti dovessero essere “sottratti a qualunque insediamento” e preservati per farne un parco nazionale.

Coscienti di ciò e di tutta la retorica che volutamente cela le voci e le storie di coloro che sono stati rimossi da questa terra in nome di una presunta e sbandierata salvaguardia della wilderness, ci accingiamo a visitare lo Yellowstone, il parco nazionale più antico del mondo, fondato nel 1872, attratti dalla sua abbondante fauna e dai fenomeni idrotermali su vasta scala. Entriamo da sud, direttamente dal Grand Teton, risalendo il Lewis River fino al primo visitor center, in cui ci fermiamo per raccogliere informazioni e suggerimenti. Per quanto nei nostri piani ci sia un giro antiorario del Grand Loop ci facciamo tentare dalla prossimità dell’orario di “esplosione” del Geyser Old Faithful e corriamo verso est. Il complesso di geyser a cui l’Old Faithful appartiene, l’Upper Geyser Basin, è uno dei maggiori al mondo. Gli altri si trovano in Russia (nella regione della Kamchatka), in Cile, in Nuova Zelanda e in Islanda. Memori dello spettacolo dello Strokkur che eruttava ogni 10 minuti circa, non vogliamo perderci questo, anche se dovessimo rimanere in attesa per quasi un’ora. La prima cosa che ci sorprende è che qui ci sono passerelle e cartelli di pericolo a delimitare la zona oltre la quale non è consigliabile inoltrarsi (mentre attorno al geyser in Islanda forse c’era solo una corda), e poi la costruzione di un vero e proprio anfiteatro tutto attorno al piccolo cratere da cui si scorge il ribollire dell’acqua. Aspettiamo che il magma compia il suo processo di surriscaldamento dell’acqua e che questa, in parte vaporizzata, faccia diminuire la pressione consentendo al resto di esplodere. La fuoriuscita di acqua dal sottosuolo dura un tempo incredibilmente lungo e l’altezza supera i 40 metri. Restiamo a guardare fino alla fine, come se l’epilogo possa riservarci chissà quale sorpresa. Vogliamo assolutamente vedere come va a finire. Ci avviamo poi a esplorare l’area dell’Upper Geyser, e seguendo il percorso guidato passiamo davanti a sorgenti termali (hot springs), fumarole e solfatare. Le prime, concettualmente così simili ai geyser, sono sicuramente le più affascinanti per i colori ricreati dalla rifrazione della luce, dalle particelle di minerali sospese e dagli organismi microscopici che riescono a prosperare sulla loro superficie, anche con temperature fino a 100° C. Si tratta di alghe, protozoi, funghi, batteri, virus e archeobatteri. E pensare che uno di questi organismi termofili, contiene un enzima, la polimerasi, che fu utile per scoprire il metodo riproduttivo del DNA, noto come PCR (polymerase chain reaction). È la meraviglia dell’immensamente grande che contiene l’immensamente piccolo. La caldera di questo supervulcano, su cui sorge il parco e la cui eruzione potrebbe far estinguere l’intera specie umana, che contiene il microrganismo che assicura la moltiplicazione di quella stessa materia di cui sono fatti gli uomini.
Aspiriamo a pieni polmoni l’aria carica di zolfo che esala la terra, guardiamo le pozze di fango che ribollono, il borbottio sotterraneo potrebbe incantarci per ore, se non fosse per l’improvviso temporale che si scatena proprio mentre siamo a metà percorso. Fino a quando l’obiettivo della macchina fotografica non si appanna irrimediabilmente continuiamo a esplorare i dintorni, poi dopo una breve pausa e aver atteso che spiovesse riprendiamo la strada verso il Black Sand Basin, poco distante, facilmente individuabile per la gran quantità di fumi solforosi visibili già dalla strada. Il nome di quest’area deriva dalla sabbia nera dell’ossidiana, ma sono i colori delle hot spring a catturare la nostra attenzione e i piccoli geyser, che nel loro far girare e portare quasi a ebollizione l’acqua sembrano tante lavatrici in azione.

Poiché la Biscuit Basin è chiusa dal 23 di luglio per un’inaspettata esplosione, riprendiamo la strada verso ovest per raggiungere la West Thumb Geyser Basin.

Oltre incredibili vasche di sorgenti termali dai colori ancor più brillanti, ora che il sole è tornato a splendere prima del suo tramonto, scorgiamo una serie di piccoli vulcani, alti circa un metro che eruttano fango su fango, tanto da dare alla sommità una consistenza liscia e morbida. Qui l’acqua è molto acida e riesce sciogliere le rocce circostanti trasformandole in argilla, viene quasi voglia di immergerci le mani e cimentarsi nella creazione di tazze e piatti di ceramica.

Ci avviciniamo al margine di questa propaggine dello Yellowstone Lake, costellato di coni e geyser, per osservare la caldera vulcanica che è parte di una delle caldere più grande del mondo, la sola comunque che si può osservare stando in piedi. Negli ultimi anni infatti è stato scoperto il Benham Rise, sul fondo del Mar delle Filippine, un cono vulcanico collassato il cui diametro è di circa 150 chilometri, oltre 2 volte più grande di questo sul cui ciglio siamo ora affacciati.Prima di andare verso l’hotel, presso cui abbiamo prenotato una cabin, restiamo ancora a guardare la Black Pool e poi la Abyss Pool, profonda circa 16 metri, di un blu zaffiro intenso, il solo colore che l’acqua calda di queste piscine non riuscendo ad assorbire riflette.

La luna stasera è ancora all’inizio della sua fase crescente e il cielo sopra lo Yellowstone è ancora quasi del tutto nero. Vogliamo riprovare a catturare le stelle nel loro eterno viaggio nell’universo.

3 Comments

  • Huatac 29/09/2024 at 12:02

    Che meraviglia!! E visto che c’abbiamo l’Islanda e la Nuova Zelanda … bisognerà cominciare a ragionare 😂🤣

    Reply
    • Paola & Antonio 29/09/2024 at 12:16

      Yessa 👍

      Reply
  • Elina 30/09/2024 at 01:49

    Molto interessante,ottima introduzione con riferimenti storici pertinenti, bellissime anche le foto, sembra proprio di percepire l’odore dello zolfo!!!

    Reply

Commentami! :-)

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.